«È impossibile sbagliare La Bohème». Lapidario, Daniel Oren presenta così l'opera «regina» del nostro melodramma che andrà in scena al Teatro Carlo Felice a partire da domani. «Puccini ha scritto tutto sullo spartito, dalle gocce d'acqua che rianimano Mimì "versate" dal pizzicato dei violini, alle indicazioni vere e proprie sui movimenti e le scene; insomma, non si possono dare interpretazioni personali, Bohème è così e basta».
In realtà poi se ne sentono tante, ma Oren - qui sì - detta legge: «re» del repertorio pucciniano e verdiano, promette un grande spettacolo, che con impeto trascini tutti nella caotica Parigi del 1830 (in realtà questa versione catapulta la vicenda un secolo avanti): orchestra, cantanti, coro, ma soprattutto il pubblico, dalla prima fila della platea alla poltrona più estrema della balconata.
E se lui è il sovrano, non da meno sembra essere la corte, a partire dal coro di voci bianche dirette dal maestro Gino Tanasini: una formazione che ha già raggiunto nel suo complesso il bel numero di sessanta ragazzi e che potrebbe diventare il fiore all'occhiello del nostro teatro, così attento al coinvolgimento dei giovani, siano questi ascoltatori o appunto protagonisti.
Riflettori naturalmente sul cast, che affianca cantanti già affermati a giovani promesse: Cristina Gallardo Domâs ed Elaine Alvarez, II cast, (Mimì), Massimiliano Pisapia e Yonghoon Lee (Rodolfo), Josè Fardilha (Schaunard), Luca Salsi e Giuseppe Altomare (Marcello), Arutjun Kotchinian e Carlo Striuli (Colline), Victoria Yastrebova e Beatriz Diaz (Musetta), Mario Bertolino (Benoit), Angelo Nardinocchi (Alcindoro) e Angelo Casertano (Parpignol). L'allestimento, «in assoluto il migliore, il più convincente» - sempre secondo le parole di Oren - è quello dell'Opera Bastille Paris, tradizionale (nonostante l'ambientazione novecentesca) ed efficace, che «di Boheme restituisce anima e colore»; la regia è di Jonathan Miller, le scene di Dante Ferretti e i costumi di Gabriella Pescucci.
Godremo allora di una «Bohème» spumeggiante, dinamica, che accanto alla triste agonia di Mimì esalta la giovinezza, la gioia di vivere, la voglia di divertirsi anche con la pancia vuota, un vero e proprio leitmotiv che percorre libretto e spartito da cima a fondo.
Ed ecco la malconcia e fredda soffitta dei quattro amici, con le mensole polverose e le pareti tappezzate di accattivanti locandine cinematografiche, oppure il pulsante e caotico Quartiere Latino del secondo quadro, con l'affollatissimo Cafè Momus popolato di studenti, con i giochi e i burattini di Parpignol e la sfilata della banda militare; o ancora la squallida Barrière d'Enfere, teatro di incontri sofferti e capricci di gelosia, nonché tetro preludio alla tragedia finale.
«Un'opera dall'intenso e raffinato lirismo - continua Oren - con sfumature delicatissime e che vive su una gamma amplissima di dinamiche e colori.
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