di Roberto Chiarini
Il decreto legge «sblocca liste» è ragionevole ipotizzare che verrà approvato. È parimenti facile, però, prevedere che il suo iter sarà quanto mai burrascoso. Dovrà prima affrontare le barricate che l’opposizione si appresta ad alzare in Parlamento, sarà chiamato poi a superare le forche caudine della verifica di costituzionalità. Eppure, allo stato dei fatti, di fronte cioè al pericolo che in ben due Regioni (e che Regioni!) si dovesse giocare una partita elettorale con una sola squadra in campo, non è difficile convenire che la soluzione adottata (un «chiarimento» interpretativo, e non traumatica modifica, della legge elettorale in vigore) era la meno peggio. Perché allora tanto clamore e, soprattutto, tanti feroci propositi di lotta?
La realtà è che, se nel merito si è scelta la via d’uscita meno disonorevole dal pasticcio creato, non altrettanto è stato fatto per svelenire il clima elettorale. L’opposizione ha chiuso (o, almeno, ha mostrato di chiudere) preventivamente ogni porta per una soluzione concordata. Il governo, da parte sua, ha fatto cadere ogni possibilità di dialogo imboccando di slancio la strada del decreto legge e, se non fosse stato per lo sbarramento opposto da Napolitano, con ogni probabilità avrebbe messo mano addirittura ad una modifica della legge elettorale, creando con ciò le condizioni per uno scontro ancor più infuocato.
Si può invocare come spiegazione del cattivo servizio fatto da entrambi gli schieramenti al rasserenamento del clima elettorale la concitazione con cui essi si sono trovati a dover affrontare un’emergenza potenzialmente distruttiva. Ma saremmo solo alla superficie del problema. Che non si tratti tanto di scarsa capacità di governo del pasticcio apertosi quanto di convenienza - e persino di volontà - di trattare la crisi come occasione per radicalizzare la dialettica politica, lo dimostra il riscontro che una soluzione opposta sarebbe stata, se non sbarrata, almeno assai più impervia per entrambi i leader in campo. Bersani aveva Di Pietro a scoraggiarne ogni spirito dialogico. Berlusconi temeva di concedere un’insperata opportunità di protagonismo al suo alleato-concorrente Fini, che in una trattativa si sarebbe ritagliato di colpo la posizione di interlocutore privilegiato dell’opposizione. Insomma, la rissa continua non è una caduta di stile - e di responsabilità - di una classe dirigente non all’altezza della situazione. È una condanna che ci perseguita da lungo, lunghissimo tempo e che sta snaturando lo stesso bipolarismo, concepito in partenza come l’habitat ideale per una benefica competizione al centro dei due poli e rivelatosi, invece, sempre più come un volano per la loro polarizzazione sulle ali estreme.
Sosteneva, non a torto, Vico che la natura delle cose «sta nel loro nascimento». Un Paese fattosi Stato e nazione attraverso fratture e contrapposizioni radicali e prolungate per più generazioni (tra cattolici e liberali, tra borghesi e proletari, tra fascisti e antifascisti) come il nostro, era scontato che anche con la «morte delle ideologie» e il crollo delle contrapposizioni storiche proprie della Guerra fredda avrebbe avuto serie difficoltà ad approdare ad una democrazia dell’alternanza, ad una democrazia cioè senza la mai dimessa demonizzazione dell’avversario. In uno Stato unitario che ha pagato con l’auto-estraniazione dalla cittadinanza politica della stragrande maggioranza del suo popolo (i cattolici), che ha annoverato la borghesia più riottosa ad assumere ruoli di responsabilità di classe dirigente (non parliamo poi di classe politica), che ha espresso le culture politiche più antisistema dell’Occidente, con una destra battistrada addirittura di soluzioni antidemocratiche (il fascismo) e una sinistra distintasi per il suo anticapitalismo coltivato fino e oltre ogni plausibilità (il Psi fino alla metà degli anni Settanta, il Pci fino al tornante degli anni Novanta), c’era da mettere in conto che la strada per una democrazia compiuta - ossia fondata sul reciproco riconoscimento e l’assunzione dell’interesse generale al di sopra della propria parte - non sarebbe stata tutta in discesa. Invece, con leggerezza mista ad opportunismo, si è avvalorata l’adozione di una legge (peraltro pasticciatamene) maggioritaria come il chiavistello miracoloso che avrebbe dischiuso come per incanto i giardini fioriti di una democrazia pacificata agli orfani (non pentiti) di una democrazia segnata, come nessun’altra, dalle passioni di una guerra civile solo (per i vincoli vuoi internazionali vuoi interni responsabilmente opposti da una classe politica consapevole dei rischi derivanti da uno scivolamento verso la violenza politica) artatamente fredda ma nei cuori rimasta sempre calda.
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