Sport

Papà Sanzo approfitta dell’effetto Vezzali

Il fiorettista che ha guidato la rivoluzione contro il ct si prende la rivincita dopo l’argento di Atene: «Ma i Giochi li ho buttati»

Riccardo Signori

nostro inviato a Lipsia

Ha vinto l’uomo della rivoluzione, quel pisano dall’aria spocchiosetta che aveva messo un ct sulla punta del suo fioretto, infilzandolo come fosse un tordo o un avversario. La rivoluzione di Salvatore Sanzo, 30 anni a novembre, un bel pedigree sportivo nel curriculum, si è conclusa sulla pedana di Lipsia, davanti a un cinese dalla scherma pulita ed atletica. Sanzo lo ha distrutto (15-4), facendone a suo dire il capolavoro di questo mondiale. Medaglia d’oro nel fioretto, come lo era stato quattro anni fa ai mondiali di Nimes e non è riuscito ad esserlo l’anno scorso ai Giochi di Atene, battuto da un francese ieri cacciato fuori al primo turno. Da quella sconfitta, che forse neppur questo successo riuscirà a rendere meno amara («Rivincita certo, ma l’anno scorso ho proprio buttato via la gara»), si è fatto largo lo spirito rivoluzionario di questo atleta, compatto nel fisico come nel carattere, che vive amore e scherma, avendo sposato Frida Scarpa, fiorettista fino all’anno scorso in nazionale.
Lei gli ha dato una bimba, Virginia, nata in gennaio, lui ha rinnovato il filone di questi mondiali dedicato alle maternità e paternità nostrane: mamma Vezzali tra le donne del fioretto, papà Sanzo tra gli uomini. Ecco l’Italia che vince e che produce. Ecco l’Italia degli strani miracoli (gli amici livornesi di Montano hanno fatto caciara di tifo per un pisano) e per una volta incapace di dire «volemose bene».
E qui torna la storia del rivoluzionario. Dopo i Giochi di Atene, uno strano mal di pancia ha preso i fiorettisti azzurri che, capitanati da Sanzo pronto a metterci la faccia e le parole, hanno chiesto di far fuori il loro ct che poi era Andrea Magro, l’uomo che ha risollevato il fioretto maschile nell’ultimo decennio ed ora è tornato a guidare le donne, con tanto di Vezzali medagliata. Fu una poco edificante storia di sport in cui gli atleti costringono (si fa per dire) la federazione a mettere da parte un ct soltanto perchè qualcuno di loro non trova più validi i suoi consigli tecnici. Nonostante l’oro a squadre ad Atene e appunto l’argento di Sanzo. Ieri al suo posto sedeva Mauro Cerioni, ex capitan Fracassa di un’altra era del fioretto italiano. Mentre Andrea Magro osservava dall’alto delle tribune, con l’animo da gentleman. E Sanzo, a suo modo, gli ha reso l’onore delle armi negando la voglia di metterci una pietra sopra. «Abbiamo vinto insieme, lui fa bene il suo lavoro, io il mio. Lui ha vinto con la Vezzali. Io ho vinto stasera. Ora voglio solo parlare di me».
Lo sguardo duro del campione non ammetteva altro, prima di ricominciare a ricordare la gara che ha vissuto tre momenti basilari: la sfida italiana con Baldini nei quarti, il duello all’ultima stoccata con il russo Deev, chiuso con il colpo decisivo a quattro secondi dal tempo limite che avrebbe assegnato la vittoria all’avversario, e la straordinaria lezione inflitta al cinese. «Non ho avuto paura, ma molto spesso sono stato sfortunato. Questo mi faceva tremare».

Ieri sera la sfortuna si è voltata dall’altra parte ed è arrivato il secondo oro italiano del mondiale a cui si sono aggiunti i bronzi della Lucchino e della Bianco, sciabolatrici affogate in semifinale (successo della francese Touya, 3ª e 4ª vengono premiate dal bronzo) dopo aver aperto il cuore ad una speranza.

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