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Paparesta riparte da Trieste: «Finalmente l’inferno è finito»

Sospeso per non aver rivelato che Moggi e Giraudo l’avevano chiuso nello spogliatoio

Gian Piero Scevola

La sua ultima apparizione su un campo di calcio si registrò nella natìa Bari, lo scorso 14 maggio, ironia della sorte quarto uomo in un Reggina-Juventus che non poteva che fargli tornare alla mente la stessa partita di un anno prima quando la premiata ditta Moggi-Giraudo lo rinchiuse a chiave nello spogliatoio dopo avergliene dette di tutti i colori. Lui tacque, non riportò i fatti nel referto e per questo venne punito. Cinque mesi e 21 giorni, tanto è durato il limbo di Gianluca Paparesta, il 37enne arbitro figlio d’arte che, seppur considerato il numero uno dei fischietti italiani, era scivolato sulla classica buccia di banana e rischiava seriamente di appendere l’arnese del mestiere al classico chiodo e dire addio alla ben remunerata carriera di arbitro. «L’inferno è finito, finalmente ne sono fuori», ha confessato Paparesta agli amici che in questi mesi gli sono stati vicino.
Già, perché oggi l’aitante dottore commercialista che ha l’hobby del fischio, tornerà su un campo di calcio, al Nereo Rocco di Trieste per la precisione, per dirigere la gara di serie B tra Triestina e Brescia. Ad essere precisi, mettendo da parte il quarto uomo, la sua ultima vera fischiata si registrò il 7 maggio, in Parma-Milan 2-3. Ma queste sono quisquilie, dati per le statistiche, la cosa importante è che la nostra classe arbitrale ritrova un elemento di spiccato valore, una situazione che non può fare che bene al nostro campionato dove sembra che nulla sia cambiato da un anno all’altro: gli arbitri continuano a commettere errori pacchiani, i dirigenti e i giocatori continuano a protestare per questa serie ininterrotta di sbagli. Mai voluti, certo, ma comunque in numero tale da spazientire anche un santo. Ben venga allora Paparesta, uno che deve comunque rifarsi la verginità dopo la sospensione di tre mesi affibbiatagli dalla corte federale, stessa corte che ha cancellato gli otto mesi datigli dalla disciplinare Aia. «Non si può giudicare Paparesta perché è già stato giudicato dalla giustizia federale», la decisione della suprema corte calcistica che lo riabilitava e lo ributtava in campo (stessa cosa anche per Morganti e gli assistenti Copelli, Baglioni e Contini).
Paparesta ci ha messo anche del suo, però: venerdì scorso a Coverciano ha superato il test di Cooper (3.000 metri in 12 minuti) dopo che quindici giorni fa a Bastia l’aveva clamorosamente ciccato. «Ho sofferto tanto in questi mesi, vedevo il mio mondo andare a pezzi, perché io amo l’arbitraggio e pensare di non andare più in campo mi faceva davvero stare male», il commento di Paparesta che preferirebbe non rilasciare altre dichiarazioni. «Altrimenti so quello che mi può capitare...». Ma il suo cruccio è anche un altro: ha perso la qualifica di internazionale e ora intende riprendersela a tutti i costi. «Non ci capisco niente», precisa, «ma voglio riguadagnarmela sul campo» (i suoi legali però hanno chiesto il suo immediato rientro in Europa, ndr). E oggi a Trieste inizia la seconda vita (arbitrale) di Gianluca Paparesta.

Auguri.

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