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Al parco abbiamo «comprato» dieci colf

Milano«Quanto vuoi? Facciamo quattromila euro a testa?». Una delle prime regole per trattare con gli stranieri è mercanteggiare e Abdul la conosce perfettamente. Si guarda intorno per essere sicuro che nessuno dei suoi amici ci stia seguendo e ripete l’offerta: «Allora, ti vanno bene quattromila o no?». Ha fretta, si stropiccia la maglietta a righe bianche e nere per il nervoso, fosse per lui avrebbe già concluso. E quando gli dico che la cosa si può fare, è quasi una liberazione. Mi stringe la mano, affare fatto.
Il racket delle regolarizzazioni dei clandestini avviene così, in un giardino pubblico, in pieno centro a Milano. Basta avere l’aggancio giusto per portarsi a casa 40mila euro in nero e dieci immigrati in cambio della promessa di dar loro un permesso di soggiorno. Come badanti, colf poco conta: l’importante è che siano messi in regola per non essere rispediti al loro Paese.
Tutto comincia con una telefonata: l’incontro ce lo procura l’associazione Sos racket e usura. È da qualche tempo che stanno raccogliendo segnalazioni su uno strano giro di stranieri che mettono sul mercato altri clandestini e di italiani che li comprano, a patto di regolarizzarli.
Dunque, l’appuntamento è fissato per le 15 in un parchetto del centro. Assieme a un membro dell’associazione antiracket sotto copertura, incontriamo il nostro «venditore di teste». Mi chiamo Francesca, sono la direttrice di una clinica privata di Milano e ho bisogno di fare un favore ad alcuni miei pazienti anziani che stanno cercando una persona che li assista. Gente ricca, con i soldi, per intenderci. Disposta a pagare un buon stipendio, magari anche qualcosa in più. Abdul viene dal Bangladesh, lui è regolare, ha un lavoro qui in città ed è proprietario di un paio di appartamenti che subaffitta ad altri immigrati. È ben inserito nel giro e conosce almeno una decina di suoi connazionali clandestini che sono pronti a sborsare alcune migliaia di euro per avere il permesso di soggiorno. I tempi stringono e da quando è entrata in vigore la sanatoria, il terrore d’essere rispediti a casa aumenta. Per assumere un irregolare, un italiano deve dimostrare di avere un reddito minimo di 22mila euro all’anno, oltre a versare la quota di 500 euro più le spese per la regolarizzazione vera e propria. Mica semplice.
Va bene, ho capito. Ma a me ne servono almeno una quindicina di persone: i miei pazienti sono persone fidate a cui ho fatto una promessa e non posso deluderli. E poi, nel caso le cose funzionassero bene, potrei averne bisogno ancora, di uomini intendo. «Non c’è problema, nel giro di qualche giorno ne arriveranno altri. Ci sono molti bengalesi a Milano», mi assicura Abdul in una lingua a metà tra l’italiano, l’inglese e l’indiano e che fa finta di non capire quando gli chiedo quanto ci guadagna da tutto questo affare, perché in fondo è un bel rischio e di certo non a costo zero.
Taglia corto e mi ripete che non devo preoccuparmi, quelli che mi procurerà sono brave persone. Gente che si mette subito a lavorare e che non crea fastidio, di nessun tipo. In cambio, gli garantisco che i suoi amici riceveranno una retribuzione di 800 euro al mese, più contributi. Tempo pieno, otto ore al giorno. E per i documenti come facciamo? «Dopodomani ti porto le fotocopie dei primi dieci più duemila euro ciascuno, cash. Quando hai i permessi di soggiorno ti do gli altri duemila a testa». Faccio un paio di conti: sono quattromila euro a persona, moltiplicato per dieci, fanno 40mila. Esentasse. «Allora, ti va bene?».

Affare fatto.

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