Il parco di Luzzati lasciato al degrado

Il parco di Luzzati lasciato al degrado

«Stai entrando nel mondo del flauto magico. Questo è un parco di giochi e di favole...». Sono le quattro e trentacinque di pomeriggio quando annoto le parole stampate su un rugginoso cartello apposto all'ingresso. A poca distanza, quattro ragazzini in sella a mountain bike si lanciano per le scale che fungono da cordone tra i due piani di un'opera d'arte a cielo aperto. O che doveva essere tale. Perché il «Flauto Magico» di Santa Margherita Ligure è un progetto di Lele Luzzati. E non uno qualunque: ispirato all'opera di Wolfang Amadeus Mozart che aveva trasposto in disegno animato nel 1978, è il solo parco da lui ideato.
Il suo degrado, per chi l'ha fatto nascere, è una ferita prima sentimentale che politica. «Bisogna amministrare col cuore. Am-mi-ni-stra-re col cuo-re», mi dice Angelo Bottino, il sindaco che lo inaugurò il 14 aprile 1998 di fronte a più di mille persone. Si appella alla «finezza d'animo» della Giunta anche il suo collega d'opposizione Alessandro De Giovanni. Nelle vesti di assessore, fu proprio lui il principale alfiere del «Flauto».
Lo si intuisce: sono in gioco la memoria di un artista recentemente scomparso e la sua amicizia. Ma anche le emozioni al cospetto di una favola che aveva preso corpo, forgiata dal genio. E la tristezza causata dallo stato di abbandono in cui versa questo fiore all'occhiello.
Forse Santa Margherita non è in grado di accogliere un complesso di modesta metratura ma di grande valore estetico? L'attuale Sindaco, Claudio Marsano, ha un tono sicuro di voce quando mi garantisce che «il parco è in via di riqualificazione». Che «ci siamo dati un anno». E che anche lui ne ha a cuore le sorti. Ma allora perché aver dovuto assistere alla sua decomposizione? «Il posto è umido e i materiali non sono stati adeguatamente rivestiti. Abbiamo già affrontato il problema della manutenzione del verde, adibendovi un dipendente. Progressivamente stiamo ricostruendo i giochi, come già fatto con i tavoli e le seggiole. Ma ci vuole tempo».
Continuo ad aggirarmi dentro un «mondo» che, fino a qualche mese fa, era sporco e folto di insidie per l'incolumità dei più piccoli. Ora le aiuole sono sufficientemente curate, i sentieri puliti e le strutture ludiche in condizioni accettabili o quasi: il decoro sammargheritese è stato in parte ripristinato. Ma i colori sono sbiaditi e con essi le espressioni dei personaggi raffigurati sui pannelli: Sarastro, Tamino, Papageno. Trasfigurati, accolgono il visitatore nell'ambiguo silenzio di una meraviglia che non suscitano più.
Poteva andar diversamente? Secondo De Giovanni, si: «Perché anche l'umidità era parte integrante della visione di Luzzati, che cercava una scenografia in grado di sottolineare le radici mitteleuropee della favola. I problemi sono altri: l'impianto stereo non funziona più da tre anni. I servizi igienici sono chiusi. Alcuni giochi sono stati rimossi e abbandonati in un deposito di rifiuti. Mancano piani di gestione, di manutenzione e di custodia ordinarie. Mancano iniziative e strategie. Nei primi anni di vita il Parco è stato teatro di eventi, rappresentazioni, visite scolastiche. Di cultura. Chi gli restituirà la fama e la credibilità precedenti? C'è anche il rischio che nuovi interventi snaturino l'idea originaria. Luzzati, poco prima di morire, si è detto molto rammaricato per l'ingrato destino del suo lavoro».
I ragazzi su mountain bike sono usciti incolumi nonostante le pericolose evoluzioni. Adesso il luogo è deserto. Il tramonto del Sole e quello dell'originaria bellezza del Parco si intersecano.

E l'atmosfera cupa rivela quasi sinistramente l'elemento esoterico dell'opera mozartiana.
Scendo le scale e mi appresto a uscire. Ammiro ancora il cartello rivolto ai cittadini: «...Questo è un parco di giochi e di favole. Rispettalo e difendilo perché la favola duri. Nel tempo».

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