Roma - A ventiquattr’ore dalla fine delle grandi kermesse, il Partito democratico già scricchiola: critiche radicalissime da Arturo Parisi, altolà di Piero Fassino sulla leadership, polemiche e dubbi assortiti, sondaggi neri. L’altra sera, uscendo dal congresso della Margherita, il ministro della Difesa aveva sintetizzato per chi gli era vicino, con concretezza sassarese: «Sono incazzato nero!». Ieri, dopo averci pensato, non ha abbandonato la verve criticissima, né ha velato il suo disincanto sull’esito dell’assise.
E così, approfittando di un filo diretto a Repubblica radio ha sparato un’altra raffica di obiezioni comparate, motivando la sua delusione politica: «La realtà è un progetto che riparte con il piede sbagliato. La conclusione di un congresso che aveva proclamato il ritorno delle passioni, soprattutto la passione della democrazia, si inizia con il classico rito con il quale è vissuta e morta la Prima repubblica, una votazione per acclamazione fatta a partire da un lavoro di ripartizione di quote al riparo dagli occhi dei cittadini. È forse - si chiede Parisi - un buon modo di partire questo?». Spiega il padre intellettuale del Pd: «Il lavoro fatto non è solo quello per consentire l'elezione delle persone ma anche la ripartizione di quote che saranno lo strumento di governo del partito che nasce: le quote hanno bisogno di un denominatore, che è la quota che la Margherita chiederà inevitabilmente nel Partito democratico, una quota che chiama altre quote e che al massimo coinvolge i cittadini come una quota residua». I Ds - continua Parisi - si sono confrontati e partecipano a questo processo con un segno di verità più solido, non ho visto lacrime al congresso della Margherita. Al congresso diesse ho provato commozione, a quello dielle - dice il ministro della Difesa - rabbia». Molti, conclude amarissimo, «sono già al lavoro per neutralizzare la democrazia del principio una testa un voto». Intanto un sondaggio condotto dall’Istituto Ipr Marketing, sempre per Repubblica.it, certifica che la fiducia nel Pd è inchiodata al palo del 27%, mentre il governo perde 4 punti di fiducia rispetto all’ultimo rilevamento (dal 46 al 42%). E intanto anche dalla destra postdemocristiana si leva il malcontento, con Gerardo Bianco che scrive a Prodi: «Era perfino inimmaginabile la scomparsa di un partito che conservava la tradizione democratico-cristiana e popolare, essenziale, ancora oggi, per affrontare le sfide del nostro tempo, che non si affrontano con formazioni politiche “decaffeinate” e “smemorizzanti”».
E mentre nella Margherita si esplicitano i malumori, dentro i Ds spira il vento di una nuova competition dove nessuno dei tre principali leader - Massimo D’Alema, Piero Fassino e Walter Veltroni - intende fare un passo indietro. Achille Occhetto, celebrato padre della Svolta, è ricorso al sarcasmo, per dire che «Prodi si finge padre di un figlio degenere», e per denunciare che «uno dei limiti del nuovo Partito democratico sia che abbia al proprio centro un nucleo doroteo, che sono gli apparati di D'Alema e di Marini».
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