Ma chi diamine ha detto che oggi non ci son più bravi cantanti dopera? A Parma, nella Lucia di Lammermoor, opera di strenuo impegno e dinteriorità impressionante, inventata da Donizetti e spesso ridotta a sterile e garbato gioco di bravura, era protagonista Désirée Rancatore, un giovane soprano che nella zona acuta usignoleggia incantevolmente e che nasconde un temperamento acceso. Qui, tallonata di sicuro momento per momento dalla regìa di Denis Krief, ha spezzato la catena di belle pose antiche tradizionali vivendo con spoglia credibilità. E a Venezia, Nino Machadze, che era stata Juliette già nellopera di Gounod Roméo et Juliette a Salisburgo questestate, lha ripresa in tuttaltro allestimento: giovanissima, fragrante, se Shakespeare riuscisse per caso a sentirla cantare, ne sarebbe beato.
Con loro, cerano a Parma Gabriele Viviani e Carlo Cigni, di ammirevole civiltà, mentre il tenore Stefano Secco, che ha sostituito un collega, ha sempre avuto quella stessa misura e lha confermata. A Venezia cantava e recitava con moderna scioltezza un tenore alto dal piglio adolescenziale, nato nello Iowa, Eric Cutler, pluripremiato: grandi mezzi, speriamo abbia pazienza di crescere. Compagnia confortante tutta: con Markus Werba Mercutio di lusso, Giuseppini importante Frate Lorenzo e Gatell sempre di classe. Ketevan Lemoklidze rende la serenata del ragazzo Stéphano un incantevole e provocatorio pezzo di teatro: ecco una vera, preziosa interprete.
I direttori Ranzani e Montanaro hanno tenuto bene in pugno le compagnie e le serate. La regìa veneziana di Damiano Micheletto, che ha mano forte e gran talento, si è andata a cacciare in una assurda scelta: una gioventù doggi come la può vedere uno da fuori, stilizzata fra punk e canzonissime tv, unita al simbolo del disco in vinile (scene Paolo Fantin, costumi Carla Teti). Non scandalizza, ma che cosa centri non si sa.
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