(...) Eros Pagni e Laura Marinoni, la voce narrante fra un testo e laltro quella di Ernesto Franco, genovesissimo direttore editoriale della Einaudi, ma soprattutto uomo mai banale e scontato nelle sue posizioni, anche in quelle diverse dalle mie. Un intellettuale, in una parola. Che spesso viene usata a sproposito per gente che è tutto fuorchè intellettuale.
Per la prima volta in un anno genovese molto pasoliniano, le parole su Valle Giulia e lo schierarsi dalla parte dei poliziotti proletari contro i contestatori borghesi sono risuonate nella platea della Corte, come un pugno nello stomaco. Così come sono state un pugno nello stomaco le letture dellarticolo di Pasolini a favore dei referendum radicali, tranne quello sullaborto, definito con parole fortissime: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dellaborto perchè la considero, come molti, una legalizzazione dellomicidio».
Insomma, non parole facili, non parole comode, non parole scontate. Parole che si aggiungono al percorso fra Pasolini e il Petrolio che ha attraversato Genova per tutta la stagione: lo splendido Suicidi? al Modena dedicato alle morti di Cagliari, Gardini e Castellari, suicidi con il punto di domanda, appunto. E poi Eretici e corsari, sempre allArchivolto, con lincredibile corrispondenza fra il pensiero di PPP e quello di Giorgio Gaber. E ancora La leggenda del cane nero, unintensissima Laura Curino e un grande Gabriele Vacis al Duse. E infine La commedia delle ceneri, probabilmente la miglior prova di sempre di Giorgio Gallione, sempre al teatro di Sampierdarena. Fino allaltra sera, a Pagni, alla Marinoni e ad Ernesto Franco.
Posso dire che, in una città spesso cloroformizzata dove i consulenti allimmagine spesso sono solo consulenti allimmagine di se stessi, sentire Pasolini e parlare di Pasolini riconcilia con la cultura? Anche quando non lo si condivide, come devessere quando si parla di cultura?
Così, mi ha fatto piacere risentire quellarticolo del Corriere della sera del primo febbraio 1975, lanno della morte, pubblicato poi in Scritti corsari, intitolato inizialmente Il vuoto del potere, ma passato alla letteratura come Larticolo delle lucciole. Un articolo troppo lungo, a tratti noioso e spesso stilisticamente aggrovigliato, tanto che ci si perde. Al di là dello sposarne o meno il contenuto.
Eppure, ci sono quelle poche righe, in cui Pasolini racconta la sua Italia, divisa in due tempi, prima della scomparsa delle lucciole e dopo la scomparsa delle lucciole. Poche righe che sono uno spartiacque storico, fra due Italie. Poche righe che valgono tutto: «Nei primi anni Sessanta, a causa dellinquinamento dellaria e, soprattutto, in campagna, a causa dellinquinamento dellacqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non cerano più (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta».
Poi, si è chiuso con un epigramma pasoliniano, A me: «In questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza, il più colpevole son io, inaridito dallamarezza».
Laltra sera, a teatro, ho rivisto le lucciole.
E la cosa più bella è che le ho anche riviste in un uliveto, dietro corso Europa. Per davvero.
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