di Roberta Bartolini
Con la stessa passione mi sento di rispondere al tuo fondo del 14 agosto che condivido in pieno e che è ricco di contenuto e di sensibilità, quella sensibilità in generale nel mondo odierno perduta o quasi a tutti i livelli, in tutti gli ambiti, in un mondo altamente tecnologico, sterile, brutale, basato sulla concorrenza, frenetico, stressato, privo o quasi di quei valori e principi di un tempo, quelli che ci insegnavano i nostri nonni, cari nonni, tesori preziosi contenuti ancora nei nostri genitori. Mi domando se la nostra generazione avrà gli stessi risultati sull'educazione dei propri figli come un tempo. Tu, io, e spero tanti tanti altri ci proviamo. Credo che parlando di «ricerca dell'identità» tu abbia sollevato un argomento, un discorso molto impegnativo ed importante che si ricollega alla storia dell'uomo e nel nostro caso dell'Italia e delle sue regioni, ma anche ad un qualcosa di più profondo che parte dal nostro io, qualcosa di interiore, un tipo di sensibilità che hai o non hai. Tu parli del senso d'identità, di orgoglio che sentono di avere i sardi ed in effetti per quello che posso sapere di questa gente so certamente che hanno nel cuore le loro tradizioni, pensiamo solo ai costumi, alle danze, alla cucina. Si può dire la stessa cosa anche rivolta ad altre regioni italiane, pensiamo soltanto a quelle meridionali, ricche di storia, di arte e cultura, prese dalla propria vita fatta di tante cose ed aspetti che si discostano da quelli di altre regioni. Senza parlare del fatto che ogni regione italiana ha le proprie peculiarità, tradizioni, cibo, paesaggi. Il nostro Paese non a caso ci è invidiato da tutti, è sempre stato definito il Paese del Sole - politicamente o giù di lì del «bengodi» - che si affaccia sul mare ed è protetto da montagne importanti nel mondo (le Dolomiti sono patrimonio dell'Unesco), è un territorio ricco di sfaccettature, di gente e popoli diversi.
Cito l'esempio dell'Abruzzo a cui sono molto legata affettivamente dove ho trascorso molte estati e vacanze, una regione spartana, fatta di e con poco, abitata nelle zone montanare da gente che vive ancora come appunto i nostri nonni, di pastorizia e di misera agricoltura, quella che riesce a svilupparsi in climi piuttosto rigidi. Vi conosco delle persone che mi hanno nel tempo arricchita molto dentro, che ti racconta con saggezza la loro storia da cui puoi trarne sempre un insegnamento, che vive delle loro cose e ne è orgogliosa. Cosa si può dire di queste persone, che non hanno la propria identità, che non sono fieri di essere aquilani o abruzzesi? Non credo. Porterei un altro esempio della regione Piemonte che conosco bene anch'essa dato che i miei cari citati nonni provenivano da queste parti. Al di là del colore politico che per altro ora sta iniziando a cambiare (ma non ne farei sempre una questione squisitamente politica, per una buona volta mi fermerei a parlare di quella sensibilità e ricerca di «identità» di cui il nostro Massimiliano Lussana molto delicatamente ci ha fatto uno stupendo quadro parlando della Sardegna), in Piemonte come in altre regioni non tutto è rose e fiori, ma in generale, la sensazione appena vi approdi è che la vivibilità sia buona, sentita come esigenza di fondo, che l'approccio cortese e simpatico verso gli altri sia considerato quasi un dovere, che il senso del lavoro sia più radicato, le regole civiche siano all'ordine del giorno. Tutto questo porta sempre ad un senso di amore verso noi stessi e verso la propria terra, un senso di rispetto verso i sacrifici che si fanno quotidianamente che se non ripagati appunto con la gentilezza, con altruismo, con il rispetto altrui, con il sorriso nonostante tutto, non hanno un loro senso. Trattando queste caratteristiche locali che ti fanno respirare aria diversa, più pura, non si può non fare il paragone con la nostra regione, la Liguria, piccolo lembo di terra ma molto lungo affacciato sul Tirreno e protetto dalle alpi e prealpi. È un territorio stupendo sotto tutti i punti di vista e credo di poter sfidare chiunque a trovarne un altro che risponda così bene alle sue caratteristiche invidiabili come il clima mite, la bellezza del paese saggio molto vario e variopinto, il cibo, il vino. Forse su un punto la Liguria viene meno rispetto ad altre regioni: le sue tradizioni.
I genovesi sono coloro che dicono «maniman» per poter giustificare i loro pochi sforzi nel fare le cose perché altrimenti chissà cosa potrebbe accadere... Il genovese o ligure a mio avviso è colui che non si sa vendere bene, che non sa vendere il proprio prodotto, ha tante risorse che non riesce a far conoscere. Prima fra tutte quella del turismo che se non fosse per il territorio del levante ligure non sarebbe neppure conosciuto. Pensiamo soltanto a Genova, al fatto che la stragrande maggioranza dei turisti che vi approdano si fermano all'Acquario, alla zona porto Antico, usufruiscono magari di un bus turistico che rimane in zona centro e non si addentra al contrario nelle zone altre della città come Castelletto e dintorni. In questo modo tra l'altro non è possibile avere una visione completa della città. Se un turista ci chiede cosa si può gustare di tipico puoi rispondere la focaccia, il pesto, la torta pasqualina, il «cundigiun», i frisceu, ma in genere tutta questa bontà se non te la gusti nell'entroterra che pullula di trattorie difficilmente raggiungibili dal turista per caso, è difficile conoscerle se ci si ferma in zona centro, a parte l'area di Sottoripa per altro mal frequentata. Una volta che si è consci di queste lacune anziché bellezze è ovvio che una città, una popolazione non possa essere orgogliosa, regionalistica, attaccata alle proprie cose, è ovvio che usa il mugugno per ogni situazione ed è ovvio che per chi come Lussana, la sottoscritta e spero molti altri si debba notare e far notare un tale gap con altre regioni, magari meno belle ma ricche dentro, che ci si debba affezionare ad altri territori che non siano quelli delle nostre origini. Volevo non parlare di politica una buona volta, ma mi sento di concludere con una constatazione che vuole essere una speranza.
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