Il Pd non sa più cosa dire nemmeno agli operai

Ostaggio dei suoi dogmi, la sinistra non ammette che a Pomigliano la Fiom corre verso il suicidio. E Bersani elogia i bidelli "martiri della manovra". Incapace di pensare al futuro, l'opposizione lotta contro ogni riforma: dalle pensioni alla Costituzione

Il Pd non sa più cosa dire nemmeno agli operai

I bidelli. Bersani ha detto che questa manovra tartassa e colpisce sempre gli stessi poveri cristi, quelli che da una vita pagano il conto per tutti. E chi sono questi martiri, questi tartassati, questi Stakanov? I bidelli. Bersani dice proprio i bidelli. Nulla contro i bidelli, ma davvero è difficile immaginarseli come i titani che portano sulle spalle le fatiche di questo Paese. Forse è qui il problema. Sono anni che la sinistra vede un’Italia immaginaria. Il risultato è che da quattro lustri non fa politica e vaga ubriaca dribblando tutta la realtà che rischia di falsificare il suo mondo virtuale. Le fiaccole di Pomigliano sono uno specchio, un crocicchio, una porta scorrevole. Ma ogni volta che il Pd, e tutto ciò che gli sta intorno sono costretti a fare i conti con il tempo che passa, si manifesta una crisi d’identità. Si barcamenano e sprofondano la testa nella sabbia. Non vogliono perdere quei quattro o cinque dogmi a cui aggrapparsi. Il resto è nulla. Non esiste. Poi un giorno arriva un manager senza cravatta, uno che va in giro con i maglioni blu a girocollo, e si mette a parlare come la Thatcher. Ti dice che quella fabbrica che sta sotto il Vesuvio, nata sotto il segno della Cassa del Mezzogiorno, simbolo di una stagione in bianco e nero, lontana, molto lontana nel tempo, così com’è non ha senso. Ti dice che la Fiat si è lanciata in una grande avventura. È andata in America a spiegare ai padri di Detroit come si fanno auto piccole, ecologiche e a prezzi popolari. La cultura del lavoro di Pomigliano non è all’altezza di questa sfida. Bisogna cambiare. Niente scioperi quando c’è il mondiale. Niente furbate sui certificati medici. Altrimenti la Panda la faranno i polacchi. La Polonia è più affidabile. È terra più sicura, con meno imprevisti e non si trova nel cuore in cancrena del regno di Gomorra. La Polonia costa di meno. Questo è il bivio. Marchionne non è un santo, ma la cultura del lavoro di Pomigliano non è al di sopra di ogni sospetto. La maggior parte degli operai è pronta ad accettare questa scommessa. Se riesce va bene alla Fiat. Ma soprattutto è una prova d’orgoglio del Meridione. È dire al mondo che al Sud si può investire. È questa la svolta, il salto culturale. Cisl e Uil lo hanno capito. La Fiom no, e sogna l’autunno caldo. In mezzo ci sono gli ignavi. La Cgil, casa madre della Fiom, e il Pd che con la vocina sussurrano un sì incerto e malfermo.
Come mai il Pd non sceglie? La sua classe dirigente sa benissimo che la battaglia della Fiom è in gran parte un suicidio. Il problema è che resta prigioniera dei suoi quattro dogmi, quella voglia di fermare il tempo, di arroccarsi a un Novecento dove ogni cosa era definita, illuminata, certa, con le mappe ben disegnate, senza ombre, senza rischio, senza scelte. Il Pd non riesce a liberarsi dal dogma: il metalmeccanico ha sempre ragione, anche quando è assenteista o finto malato. Non riesce a rimandare al museo il sindacato pesante, ideologico, liturgico, fedele al mito dell’operaio massa, avanguardia della rivoluzione, leggendario soggetto politico di un secolo che non c’è più. Non ce la fa. È come bestemmiare.
Il Pd conserva nella parte atavica della sua politica tutti i vecchi schemi. Si abbarbica, si aggrappa, si stringe come un koala impaurito al passato, interpretando giorno dopo giorno il ruolo di partito reazionario. La Costituzione diventa così il tabernacolo intoccabile, su cui non si può neppure pensare o immaginare una riforma, un passo avanti, una revisione. Come se quella Carta nata strabica e compromessa non sentisse l’usura di un’Italia che non è più quella di De Gasperi e Togliatti, del post fascismo, agricola e paesana, con il Sud che cerca fortuna al Nord, sconquassata dalla più grande migrazione interna di una terra divisa dalla fortuna e dai dialetti. No, quella Costituzione ora è sacra. E i chierici del Pd ne sono diventati la casta sacerdotale. Così se Berlusconi parla di riforme costituzionali, quelle che vent’anni fa erano il sogno dei referendari e dovevano segnare la fine della prima Repubblica, diventa subito l’eretico e il bestemmiatore. Bersani si straccia le vesti e minaccia: «Se non gli piace la Carta se ne vada a casa».
E così è su tutto. Non si cambia il welfare, non si toccano le pensioni, non si nomina la giustizia, non si tagliano gli sprechi, non si fa il federalismo, non si cambia la scuola. Tutto questo sempre sbiascicando le parole, con un quarto di sì e un tre quarti di no, con posizioni opache, cariche di eccezioni e ma o però. Tergiversano.

Poi, quando si arriva al bivio, bloccano tutto. Vince quel desiderio nostalgico di reazione. Vince il paradosso. Vince l’equivoco mai chiarito. Questo. Il Pd santifica Tangentopoli e poi passa il tempo a rimpiangere la Prima Repubblica.

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