«Pedinato a lungo, volevano ucciderlo in piazza»

Il pentito ai magistrati: «Dopo l’omicidio, Ritorto ha comprato la macchina e ristrutturato casa»

nostro inviato

a Reggio Calabria

Chi è stato a uccidere l'onorevole Fortugno?
«Signor giudice, per l'omicidio del dottore sono stati Salvatore Ritorto e Stefano Audino. Il Ritorto è quello che ha sparato, incappucciato, tutto vestito di nero con berretto e cappuccio. Su questo vi posso fare un po' di luce perché il dottor Fortugno era sorvegliato da un po', lo pattugliavano sotto casa da venti giorni (…). Per quanto ne so l'omicidio interessava personalmente a Ritorto... ».
Sì, va bene, ma perché lo hanno ammazzato?
«Omissis».
Mi dica di Ritorto.
«Salvatore Ritorto subito dopo l'omicidio ha iniziato a comprarsi la macchina, ha cominciato lavori di ristrutturazione a casa... ».
Sta dicendo che ha cambiato vita?
«Sì».
Quindi se Ritorto ha avuto un compenso evidentemente non gli interessava personalmente a lui. Interessava a qualcun altro che lo ha incaricato. Lei sa qualcosa?
«Omissis».
A pagina 128 e 154 dell'ordinanza di custodia cautelare, il botta e risposta fra il pentito e il pubblico ministero s'interrompe sempre sul punto cruciale, coperto da omissis, che è quello dei mandanti eccellenti, e perché no, magari politici, di un delitto di mafia. L'intero provvedimento del gip Maria Grazia Arena è un susseguirsi di omissis ogni qualvolta capita di salire di livello alla ricerca dell'indicibile committente. Per tutte le 371 pagine ci si sofferma quasi esclusivamente sulle dichiarazioni di Bruno Piccolo, pasticciere del bar Arcobaleno di Locri frequentato dai killer, diventato per vanità un fiancheggiatore della cosca Cordì con incarichi dapprima defilati poi di pieno supporto logistico (trasporto di armi, reperimento di telefoni sicuri, procacciamento di alibi) quindi di portavoce e messaggero all'interno di un gruppo compatto che solo per precauzione s'è diviso dopo l'omicidio Fortugno. Era il classico insospettabile, il Piccolo grande pentito. Ma quando l'hanno ammanettato per altri misfatti, le famiglie di riferimento (quella dei parenti stretti e quella dei criminali acquisiti) sono entrate in fibrillazione temendo che crollasse, cosa puntualmente accaduta dopo nemmeno un mese di detenzione. E pensare che il boss detenuto, Vincenzo Cordì, gli aveva scritto in carcere raccomandandosi di stare tranquillo («l'importante è farsi la galera con onestà, parlare poco e solo quando è necessario»). E anche i familiari nella sala colloqui del carcere di Sulmona, l'avevano supplicato a ravvedersi («non devi parlare - aveva sbottato la madre - ricordati che hai due sorelle... ma ti rendi conto di quello che hai fatto?»).
Il ravvedimento di Bruno Piccolo - stando ai verbali - inizia quando lo stesso smette di servire caffè per sbrigare cortesie a quei clienti che invidia per i soldi, le macchine, le imprese delinquenziali. Diventa presto uno di «famiglia». C'è sempre quando serve, anche quando c'è da accompagnare il pistolero Antonio Dessì ad allenarsi col bidone giù alla fiumara nelle campagne di Moschette: «Sparava ogni volta cinque-sei colpi al fusto arrugginito, poi una volta anche sopra il cespuglio perché c'era un uccello, però non l'ha colpito».
Del delitto Fortugno sa tanto, ma in gran parte de relato. A metterlo al corrente è sempre l'amico Carmelo Dessì che partecipa agli appostamenti e ai pedinamenti sotto casa di Fortugno ma il giorno del delitto se ne va a Reggio Calabria in sua compagnia (qui il pentito ne approfitta per bussare a casa di una prostituta-massaggiatrice). Bruno Piccolo racconta che a uccidere l'esponente della Margherita ci pensa Salvatore Ritorto («nei giorni precedenti si vestiva sempre di nero, come quando ha sparato a Fortugno, lui aveva la disponibilità della pistola») mentre Domenico Audino «è l'autista che guida la Golf fino al seggio». Il più interessato al pedinamento di Fortugno, racconta, era Domenico Novella, leader indiscusso della 'ndrina di Locri a cui Ritorto - scrive il gip - chiede rassicurazioni nei giorni successivi l'agguato rivolgendosi con deferenza chiamandolo mastro. «Audino, Novella e Ritorto - insiste Piccolo - dieci giorni prima dell'agguato parlavano tra loro al bar dicendo che non riuscivano mai a beccare Fortugno. Volevano ammazzarlo sotto casa, in piazza del tribunale a Locri, ma non lo trovavano», oppure perché quando era possibile farlo secco «si trovava sempre in compagnia di qualche familiare». Il figlio e il cognato di Fortugno riferiscono di movimenti strani intorno alla casa, di macchine parcheggiate a fari spenti con gli occupanti all'interno. Tutto torna. Anche i tipo d'abbigliamento di Ritorto e le descrizioni fisiche coincidono con le dichiarazioni del collaborante e dei testimoni oculari del delitto. Antonio Alvaro ha visto Fortugno morirgli tra le braccia: «Quand'è arrivato l'assassino indossava una felpa grigio scuro, con cappuccio alzato, aveva un passamontagna nero, mi ha colpito la sua freddezza, il passo sicuro e veloce, senza correre».
Ma il dato più sconcertante, raccontato da Piccolo, è che nei dieci giorni precedenti l'omicidio improvvisamente gli appostamenti sotto l'abitazione si interrompono per non riprendere più, salvo andare a botta sicura il 16 ottobre 2005 davanti ai seggi per le primarie dell'Unione. Un mistero.

Come l'improvviso arricchimento del killer: «Nell'ultimo anno - chiosa il gip - Ritorto non ha percepito alcun reddito eppure, due giorni dopo il delitto, acquista una Bmw, fa grossi lavori di ristrutturazione a casa, cambia anche gli arredi». E alla fidanzata che vuole andare al ristorante, dice scherzando: «Amore, mi sono rimasti gli ultimi settantamila euro, chi paga?». La 'ndrangheta.

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