Perché l’Italia ha bisogno del nucleare

Durante la riunione dello scorso ottobre dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, l’Iran aveva lanciato una chiara minaccia agli Stati che avessero votato la risoluzione con cui si adombrava la possibilità che il suo caso fosse portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non erano soltanto parole: Teheran mise effettivamente in atto la minaccia, annullando dei contratti conclusi con l'India, che aveva votato a favore della risoluzione dell'Aiea, e dichiarando che non avrebbero fornito più petrolio alla Repubblica Ceca, alla Corea del Sud ed alla Gran Bretagna, che quella risoluzione aveva proposto. Ora gli iraniani hanno confermato l'intenzione di costruire le centrali nucleari e, secondo quanto affermato dal direttore generale dell'Agenzia nel suo rapporto, non si sono mostrati molto cooperativi», rifiutando le ispezioni internazionali nei siti militari sospetti.
Alla vigilia della nuova riunione dell'Aiea, un’altra bordata di minacce è partita da ambienti vicini al presidente Mahmud Amhadinejad, e questa vota nel mirino iraniano ci sono la Francia, il Canada e l’Italia, colpevole quest'ultima anche di essere stata teatro delle manifestazioni di protesta contro le affermazioni anti israeliane del Presidente. Ci viene preannunciata una guerra commerciale che comporterebbe la fine o il blocco delle nostre esportazioni e il rifiuto iraniano di fornirci il petrolio. Sarebbe un errore non credere alla serietà di queste minacce. È vero che le guerre commerciali nuocciono anche a chi le dichiara, ma è anche risaputo che i capi dei regimi ideologici sono pronti a sacrificare i loro popoli per affermare i loro «principi».
Il problema per l’Italia è perciò come sottrarsi ai ricatti con cui si vuole immobilizzare la sua politica estera. Il nostro Paese, non essendo autosufficiente dal punto di vista energetico, sarà sempre in balìa di qualsiasi pressione da parte dei produttori di petrolio e di altri detentori di fonti di energia. Quando si parla della necessità di affrancarsi dai fornitori esteri si pensa anzitutto ai costi delle forniture che, è bene ricordare, pesano sullo stato ma anche sui bilanci dei singoli cittadini. Ma il costo politico di questa dipendenza non è meno importante.
Chi vuole creda pure alle assicurazioni iraniane circa la natura esclusivamente pacifica delle centrali nucleari che vuole costruire. Ma anche se così fosse, non costituirebbe ciò un motivo di riflessione anche per noi? Il giorno in cui Teheran non disponesse più di petrolio per l’esaurimento dei pozzi (o in caso di distruzione da parte di terroristi o di nemici, come avvenne in Kuwait quindici anni fa) esso avrebbe sempre quell’energia atomica che vuole produrre. Un altro Paese, pure guidato da un demagogo inquieto, il Venezuela, anch’esso gran produttore ed esportatore di petrolio, sembra fermamente deciso a costruire delle centrali nucleari. E qui sorge un apparente paradosso: uno Stato - parliamo dell’Italia - che non ha energia naturale come il petrolio, si è inibita la possibilità di produrre quella d'origine nucleare, mentre gli Stati che di petrolio sono ricchi vogliono differenziare ed arricchire le loro fonti.

Quale delle classi dirigenti è più previdente? Quella che si precostituisce una via d’uscita per il caso in cui non potesse disporre dell’energia naturale o quella che non ha il coraggio di sottrarsi al possibile ricatto dei Paesi produttori di petrolio correggendo una decisione sbagliata, catastrofica e dispendiosa, adottata per demagogia? Da Teheran e Caracas giunge un serio avvertimento alla classe dirigente italiana, ma purtroppo in seno ad essa pochi sono i politici che abbiano la tempra ed il coraggio di agire da statisti.

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