È la presa d’atto di un fallimento, quella che si sta registrando a sinistra. E Stefano Boeri, recordman di preferenze e inquietissimo assessore alla Cultura, ne è solo il notaio. Aveva fatto buon viso a cattivo gioco, l’architetto-chic, dopo la brutta sconfitta alle primarie contro l’avvocato rosso, Giuliano Pisapia. Ha raccolto la sua bella messe di preferenze e si è preso qualche (deludente) delega. A 4 mesi di distanza ha lanciato la sua opa ostile contro il «suo» Pd. Con i toni degni del più spietato rottamatore. Un «mondo chiuso - lo ha definito - parallelo e indifferente» alla città. Un partito - si è accanito - «che di fronte alle vicende giudiziarie di un suo dirigente si produce in un complicato riassetto della sua segreteria invece che affrontare con coraggio un serio approfondimento politico sul rapporto tra interessi, governo locale e trasformazioni del territorio». Un Nanni Moretti minore, e con ufficio a Palazzo Marino: «Con questi dirigenti non vinceremo mai», aveva tuonato il regista in un ormai leggendario atto d’accusa contro la sinistra nazionale, dieci anni fa, in piazza Navona. «Con questi dirigenti non faremo niente di buono», sembra dire il suo epigono milanese.
La sparata è valsa a Boeri un sonoro «stia al suo posto», scandito all’unisono dalla capogruppo democratica, la tostissima Carmela Rozza, e dal segretario metropolitano Roberto Cornelli. Ieri, all’assemblea provinciale, l’assessore rottamatore ha tentato di smorzare. Ma non ha potuto non constatare che «eravamo pochi, davvero pochi», e ha ripiegato su un proverbiale «cambio di marcia». E ormai la bomba politica gli era già scoppiata in mano. La sinistra è nuda: in mancanza di un equilibrio politico che dia un po’ di ordine, i galli democratici (e non) si beccano che è un piacere (per gli altri). E per giunta in pubblico.
Certo, può sembrare paradossale a neanche un semestre da una vittoria storica, eppure è così: la sinistra milanese non è mai stata così in difficoltà. Cerca un centro di gravità - anche temporaneo a dire il vero - e non trova niente a cui aggrapparsi. Neanche il sindaco. Gli elementi per l’esplosione, a dire il vero, c’erano sempre stati. Le ambizioni di potere frustrate e malcelate (anche se infarcite di retorica partecipazionista), le rivalità di fazione, alcuni concretissimi interessi economici in rotta di collisione (basti pensare alle linee che si sono fronteggiate sul Pgt). Il detonatore, oggi, insieme alla smania di visibilità mediatica di alcuni, è la palese mancanza di una leadership che dia ordine al caos. L’esplosione della maggioranza, e la messa in stato di accusa dei partiti, ha un’ulteriore implicazione: il tentativo sempre più palese di Giuliano Pisapia, di ritagliarsi (con risultati incerti) un ruolo politico nazionale. Il meccanismo è noto: chi governa bene spacca il fronte avverso e conquista consensi nell’elettorato altrui. Chi non ci riesce (e gli ultimi sondaggi lo testimoniano) si arrocca sul sentimento di identità e appartenenza. Così si spiega la metamorfosi di Pisapia: un politico mite, che aveva fatto del bon ton elettorale un’arma di seduzione di massa, e del garantismo un credenziale importante, si è trasformato in un anti-berlusconiano in servizio permanente effettivo, che non fa passare un giorno senza un intervento sullo scibile politico nazionale: le elezioni, la legge elettorale, la crisi economica, le formule di governo. Il problema è che, nonostante le copertine dell’Espresso e le interviste a ripetizione, non ha la carica popolana di un Masaniello come il collega napoletano Luigi De Magistris - sebbene tutta orientata allo «scassare tutto».
Diventa difficile, dunque, contestare le affermazioni di Riccardo De Corato (Pdl), quando dice che «se Boeri ammette che “non siamo riusciti a dire quale Milano vogliamo e come abbiamo intenzione di realizzarla”, si figuri se sono riusciti a capirlo i milanesi».
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