Fed, niente tagli ai tassi ma un aiutino ai mercati

Tramontano le attese per un calo prima dell’estate. Powell rallenta le vendite di Treasury. Il nodo elezioni

Jerome Powell, presidente della Fed
Jerome Powell, presidente della Fed
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Ormai svanita la stella polare che indicava tre tagli ai tassi quest’anno negli Usa, i mercati cercavano una zattera cui aggrapparsi per non affogare. Jerome Powell l’ha prontamente calata in mare nella serata di mercoledì 1 maggio dopo aver lasciato invariato il costo del denaro nella forchetta compresa tra il 5,25% e il 5,5% e sottolineato come “l’inflazione sia ancora troppo alta”, ma non al punto di rendere probabile un’ulteriore stretta.

Giusto per non far la figura di chi è impantanato nella terra di mezzo dell’indecisione, il presidente della Federal Reserve ha poi calato sul tavolo una carta dal significato inequivocabile: Eccles Building sta allentando le maglie del rigore. Lo ha fatto con la decisione di rallentare il ritmo con cui sta prosciugando da mesi il proprio bilancio, gonfio di titoli messi in pancia con i programmi di allentamento quantitativo, ovvero il Qe. A partire da giugno, il rimborso dei titoli del Tesoro passerà infatti dagli attuali 60 a 25 miliardi di dollari al mese.

Si tratta di una mossa accomodante che segnala implicitamente come la Fed ritenga troppo alti i rendimenti raggiunti dai T-Bond; al tempo stesso, è anche una mano tesa rivolta verso il Tesoro americano. Janet Yellen, che fino a sei anni fa occupava la poltrona di Powell, sentitamente ringrazia: con il Quantitative tightening (Qt) a scartamento ridotto, non sarà più necessario emettere oltre 100 miliardi di dollari di titoli nel terzo trimestre. Pur avendo ridotto a una sola la possibilità di un taglio dei tassi (verosimilmente in novembre), le Borse hanno subito capito l’antifona, anche se Powell ha subito precisato che “la riduzione del deflusso di bilancio non è un allentamento della politica”; l’intento è invece quello di garantire che il Qt “si svolga senza intoppi e non si concluda con una turbolenza sui mercati finanziari come è avvenuto l’ultima volta che lo abbiamo fatto”.

In realtà, c’è semmai da chiedersi perché la Fed abbia scelto proprio ora di rendere meno rigida la propria postura. Un momento in cui gli ultimi dati, relativi al primo trimestre, hanno indicato come la crescita del Pil sia rallentata (+1,6%) a fronte di prezzi al consumo sopra il 3%, sollevando l’interrogativo sui rischi di stagflazione negli States.

“Non capisco davvero da dove venga quest’idea”, ha detto il capo della banca centrale Usa. Un’altra idea, proprio a voler pensare male, è che con il duplice messaggio “dovish” la Fed abbia fornito anche un assist nella corsa per la presidenza a Joe Biden, in calo di consensi soprattutto a causa di un carovita ancora non domato.


Powell, naturalmente, rispedisce al mittente il sospetto: le elezioni imminenti “semplicemente non fanno parte del nostro pensiero. Non è quello per cui siamo stati assunti”. Chissà se Donald Trump, mai tenero con “Jay” pur avendolo assunto, sarà d’accordo.

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