Ma per il Quirinale la minoranza Pd prepara il trappolone

La fronda Pd è in agguato: i dissidenti sono almeno in cento. Fassina: "Prodi è un buon candidato..."

Ma per il Quirinale la minoranza Pd prepara il trappolone

Roma - Per i dissidenti Dem, quella di Matteo Renzi sul possibile voto anticipato anche senza l'Italicum è una minaccia pesante.

Temono di non essere ricandidati in blocco, se davvero si andasse alle urne perché le riforme non si riescono a fare. Così, la rottura del patto del Nazareno e delle larghe intese con Silvio Berlusconi che tanto auspicano, si ritorcerebbe come un boomerang contro di loro.

La preoccupazione è palpabile nella parole di Stefano Fassina. «Non c'è fretta - dice a L'intervista di Maria Latella - di approvare la legge elettorale. Mi sembra singolare parlare di voto nel 2018 e la fretta con cui Renzi vuole l'approvazione. E mi sembra contraddittorio insistere sulla necessità di fare le riforme e poi fare della posizione di Fi un motivo per andare alle elezioni». Votare senza l'Italicum, dice, sarebbe una scelta possibile «tecnicamente», non «politicamente».

I ribelli, nelle diverse sfumature che vanno da Fassina a Pippo Civati, da Gianni Cuperlo a Francesco Boccia e Alfredo D'Attorre, alla vigilia della direzione del partito vogliono mostrare i muscoli e fanno sapere di essere almeno in cento. «La rottamazione usata come clava sulle persone - scrive sul suo blog Boccia - si trasforma in ideologia».

Se in pochi pensano davvero a una scissione, molti contano sull'interesse del premier di recuperare almeno una parte del dissenso interno, in vista della scelta del candidato al Quirinale. Ma in quella battaglia la minoranza Pd vuole pesare. E comincia a far girare nomi che vanno da Romano Prodi («Non escluderei a priori nomi bocciati in passato dal Parlamento», avverte Fassina, contraddicendo Renzi) a Mario Draghi e a Enrico Franceschini. I gruppi della fronda respingono ricatti dell'opposizione azzurra sul dopo-Napolitano, ma sanno che la diaspora nel M5S potrebbe portare a Renzi utili voti di transfughi grillini e auspicano un «coinvolgimento» del movimento.

Così, i dissidenti Dem sono costretti a difficili giochi di equilibrismo. Da un lato, alzano i toni dello scontro, che ha raggiunto l'apice sulla politica economica del governo e il Jobs Act, con l'uscita dall'Aula del voto di 29 esponenti della minoranza Pd. Dall'altro, cercano di tenere gli attriti sotto controllo, mostrandosi propositivi. L'idea che Renzi possa chiedere al nuovo capo dello Stato di sciogliere le Camere, se non riuscirà a far approvare la riforma elettorale, è uno spettro da allontanare.

E il premier ha detto chiaro che «la diversità aiuta e stimola il dibattito», ma serviranno nuove regole nel partito e «chi minaccia la scissione un giorno sì e un giorno pure, deve chiarirsi le idee», perché «la regola dello sgambetto al governo non funziona più».

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