«Mio Dio come sono caduta in basso». Un tempo era solo un film dei compianti Luigi Comencini e Laura Antonelli. Oggi purtroppo è l'Italia del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un'Italia che avanza a tentoni sul baratro apertosi in Libia e si muove alla cieca su quello ancor più ampio e insidioso che divide Usa e Iran. Due conflitti che espongono a gravissimi rischi i 1.200 soldati italiani schierati complessivamente su quei due fronti, minacciano i più cruciali interessi nazionali e rischiano d'impartire altri duri colpi alla nostra malconcia economia.
La vacuità delle parole e l'inconsistenza delle azioni esibite in questo drammatico frangente da chi ha in mano il timone del nostro Paese è però ancor più angosciante dello scenario internazionale. «La cautela in una situazione come questa è d'obbligo», ammoniva ieri in un'intervista a Repubblica il nostro premier esibendo una lungimiranza degna del Maresciallo Jacques de La Palice. Ma l'impareggiabile «supercazzola», degna di un remake di «Amici Miei», era solo all'inizio. «Tutta la nostra attenzione - specificava subito Conte - deve essere concentrata ad evitare un'ulteriore escalation che rischierebbe di superare un punto di non ritorno». Come dire: non fatemi parlare perché una mia frase di troppo può creare sconvolgimenti inimmaginabili. Magari fosse così. Avesse avuto qualcosa di veramente rilevante da dire non sarebbe stato depennato, assieme al comprimario Di Maio, dalla lista di alleati europei con cui il Segretario di Stato americano Mike Pompeo si è consultato dopo l'eliminazione del generale iraniano Qassem Soleimani. Un'eliminazione extra giudiziale su cui, peraltro, il giurista Giuseppe Conte non riesce ad esprimere neppure un giudizio di merito limitandosi a parlare di «vicende delicate e complesse che per essere valutate a pieno richiedono anche informazioni di intelligence».
Ma l'avvilente vuoto pneumatico del premier diventa ancor più evidente quando, costretto a indicare una strada da percorrere si salva in corner auspicando «un'azione europea forte e coesa». Come dire un autentico ossimoro. O, meglio, un miracolo senza alcun precedente nella storia dell'Unione europea.
In questa farsa, degna di più di una banda di cantastorie che non di un esecutivo, il ministro degli Esteri Luigi di Maio è sicuramente il perfetto numero due. Per apprezzarlo al meglio va seguito al suo indirizzo Facebook. Lì all'indomani dell'uccisione di Soleimani, mentre si attendono da lui idee e proposte per chiarire la posizione dei nostri 900 militari, indirizzarne la missione e garantirne la sicurezza il ministro non sa far di meglio che pubblicare la foto di un nostro soldato con in braccio una bambina sorridente. «È il valore - annota compiaciuto - dell'Italia nel mondo». Insomma un vero statista, fedele alla fiaba dei soldati amati da tutti e pronti non a combattere o a difendersi, ma a distribuire carezze e caramelle. Salvo poi piangere lacrime di coccodrillo se, Dio non voglia, c'accorgeremo che non bastavano i sorrisi e le belle parole per evitare le insidie medio orientali.
Del resto quando si tratta di nuotare negli abissi del pensiero banale Di Maio è decisamente imbattibile. Ieri, mentre l'Alto commissario europeo per la Politica estera Josep Borrell negava attraverso i portavoce di aver mai aderito al progetto di missione europea in Libia organizzata dal nostro ministro degli Esteri e Tripoli escludeva di volerla ospitare, lui dispensava le quotidiane perle di saggezza su Iran e Libia.
«In entrambi gli scenari - spiegava su Facebook - pur con tutte le relative differenze e specificità, il faro che ci guida è sempre e solo un'unica, semplice verità: la guerra genera altra guerra, la violenza chiama altra violenza, la morte altra morte». Come dire d'inverno fa freddo, d'estate fa caldo e chi vivrà vedrà. L'Italia, con questo premier e con questi ministri, certamente no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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