"Altro che finto condono. Così l'erario è più giusto"

L'economista dell'Istituto Bruno Leoni: "È l'impresa a sopportare i costi se sbaglia a stimare le sue entrate"

"Altro che finto condono. Così l'erario è più giusto"
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Professor Nicola Rossi, ordinario di economia politica presso l'Università di Tor Vergata e consigliere dell'Istituto Bruno Leoni, che opinione ha del concordato preventivo biennale?

«Mi sembra una modalità di dare certezza alle imprese circa il livello di tassazione. Naturalmente tanto il fisco quanto le imprese assumono dei rischi, perché l'impresa potrebbe andare meglio del previsto, ma se l'impresa va peggio del previsto, a quanto so, questo non implica una revisione degli importi fiscali. Quindi, è l'impresa a sopportare le conseguenze di una errata qualificazione per eccesso dei suoi risultati. Non riesco, perciò, a intravedere profili che facciano pensare ad un condono mascherato».

Questo provvedimento ha attirato critiche perché evita al contribuente, almeno in questa prima fase sperimentale, di adeguarsi agli Isa, gli indicatori sintetici di affidabilità, che hanno gli stessi difetti dei vecchi studi di settore.

«Si critica perché si teme che questo possa ingenerare trattamenti di favore nei confronti di alcuni contribuenti. Io ho l'impressione che in caso contrario ci si priverebbe di uno strumento molto utile spesso perché non tutti i contribuenti sono uguali e perché regole uguali applicate a situazioni differenziate generano significative disparità di trattamento. Davvero non vedo perché si debba necessariamente immaginare che il fisco non sia in grado di essere equo e rigoroso quando deve essere anche mantenuto un certo grado di discrezionalità».

Il concordato preventivo fa parte di una riforma il cui principio guida è la possibilità di accordarsi con il fisco in un'ottica di semplificazione. Come giudica questo tipo di impostazione?

«All'interno del Codice della composizione negoziata si vuole permettere al fisco di negoziare con il contribuente quanto necessario per ripristinare la piena operatività dell'impresa che si trovi in una condizione di precrisi o di crisi. Mi sembra un atteggiamento ragionevole. In questo tipo di situazioni il contribuente si rivolge ai creditori, chiedendo di rivedere tempi o anche quantità delle pretese in maniera da consentire all'impresa che ne abbia possibilità di stare sulle proprie gambe».

Il 2024 si preannuncia un po' difficile dal punto di vista macroeconomico e questo inciderà sulla possibilità di attuare la delega fiscale. Che opinione ha?

«La riforma del fisco è probabilmente uno degli atti più importanti sul tavolo ed è opportuno che venga preso tutto il tempo necessario per poterla portare a termine in maniera completa. È anche un tema divisivo. Se lei pone la questione al centrosinistra, le diranno che prima si decidono le spese e poi si deriva quanto si debba raccogliere sotto forma di tasse.

È un atteggiamento diametralmente opposto a quello del centro-destra ove prima si chiede ai cittadini quanto intendano contribuire e poi si ripartisce questa entità tra le diverse spese, assumendosi anche il compito di fare a meno di alcune. Quando si decide di mettere un termine al Superbonus e al reddito di cittadinanza, si fanno scelte non facili, ma sapendo che l'entità complessiva di risorse richieste è il dato da cui bisogna partire e non viceversa».

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