Un anno senza Fidel, ma Cuba non si libera del lìder

Raul lascerà a febbraio e alle elezioni ci sarà ancora un solo partito. E il Paese continua a soffrire

Un anno senza Fidel, ma Cuba non si libera del lìder

Non c'è Cuba senza Fidel. Ancora oggi, a un anno dalla sua morte, l'isola castrista resta incuneata nel solco del suo nome, del suo carisma, della sua personalità. Oggi ancora di più, il nome di Fidel rimbomba ovunque. Da una settimana l'isola sta commemorando il suo lider maximo morto il 25 novembre scorso a 90 anni. Cartelloni e gigantografie sparse un po' ovunque, la sua immagine e gli slogan a rimarcare nella memoria: «Yo soy Fidel». «Noi tutti siamo Fidel». «Fidel vive con noi». Un anno dopo, l'isola si sente orfana e il gruppo dirigente si comporta come se non fosse riuscita a elaborare il lutto. A partire dalla scelta delle parole. Nessuno pronuncia la parola morte. L'addio a Castro si celebra con una sorta di pudore, e si preferisce parlare di dipartita, «sparizione fisica», addirittura. Questa terminologia ufficiale a dimostrare che è ancora presente nelle menti di generazioni di cubani.

Lo sforzo propagandistico per la sua esaltazione quasi divina è cominciato, visione idealizzata e messianica del leader che si è rinvigorita proprio in questi giorni: l'anniversario della morte di Fidel coincide infatti con un grande appuntamento, l'inizio di un processo elettorale per rinnovare il vertice del Poder popular, compreso il presidente. Con epicentro all'Avana e a Santiago di Cuba, tutte le provincie dell'isola hanno un calendario di eventi culturali dedicati al lider maximo. Una commemorazione che avviene con il Paese che si prepara ad un passaggio epocale, che si concluderà in meno di 100 giorni con l'addio del fratello Raul, che porrà fine a 60 anni di dominio dei fratelli Castro. L'intento è ricreare un clima di un anno fa, quando tutta Cuba si stringeva attorno alla morte di Castro. Ma l'isola è in grande difficoltà e la grande scommessa di rigenerare il gruppo dirigente non è affatto scontata. Raul resta una personalità piuttosto fiacca, di scarso appeal. Il tanto atteso ricambio generazionale della dirigenza storica della rivoluzione fatica a trovare personalità di spicco. Eppure Raul ha già avvertito che a 86 anni compiuti, intende ritirarsi dalla presidenza dello Stato e del Consiglio dei ministri il prossimo febbraio alla conclusione delle elezioni generali. E buona parte del governo e dell'ufficio politico del partito unico comunista sono composti da ultra ottantenni. Gli occhi sono puntati tutti sul delfino designato, Miguel Dìaz-Canel, l'attuale vicepresidente. Le riforme per un Paese più moderno e più vicino all'Occidente non decollano ma anzi, restano impantanate nel guado della crisi economica che attanaglia l'isola. La peggiore dagli anni '90 del secolo scorso, quando collassò l'ex Unione sovietica e Cuba ne pagò un prezzo altissimo. Poi, è arrivato l'uragano Irma a spazzare via case e villaggi interi. Danni che potrebbero causare una contrazione dello 0,3 per cento di un'economia che l'anno scorso aveva già subito una recessione. PC'è chi pronostica una contrazione dello 0,5 per cento dovuta alla somma dei danni di Irma e delle misure ostili decretate da Trump. Sì perchè ci sono anche gli Stati Uniti con cui fare i conti, Obama, il presidente amico, è andato via e il processo di disgelo è rimasto al palo. «Si sta creando nei confronti di Fidel Castro una sorta di religione, che dà una visione distorta», ha detto lo storico cubano Enrique Lopez Oliva. Prima di morire, il presidente cubano aveva espresso il desiderio che il suo nome non fosse utilizzato per intitolare strade o piazze, e che non fossero eretti monumenti in suo onore.

Un'indicazione che è stata rispettata solo a metà, perché in questi giorni la sua immagine riempie i media, tutti controllati dal Partito comunista, e i suoi ritratti rimangono in molte istituzioni ufficiali. A rimarcare che questa Cuba senza Castro è vera solo per metà.

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