In mattinata le agenzie di stampa battono notizie rincuoranti. E per un attimo pensi: «È fatta». Nel giro di poche ore gli scienziati cinesi annunciano di aver trovato i farmaci per frenare il Coronavirus e da Londra arriva la notizia che per avere il vaccino non dovremo aspettare due anni ma qualche giorno appena. In altrettante poche ore entrambe le notizie vengono largamente ridimensionate. Anzi, per non scatenare facili illusioni, l'Organizzazione mondiale della sanità ha una certa fretta nel comunicare che «non esiste ancora nessuna cura». Il portavoce Tarik Jasarevic precisa che «solo studi su larga scala possono essere efficaci». Di sicuro quindi non bastano i test in vitro dei ricercatori cinesi, anche se questo è sicuramente un primo passo.
I test preliminari all'università di Zhejiang avrebbero dimostrato che i farmaci Abidol (antivirale già utilizzato contro la Sars) e Darunavir (impiegato contro Hiv) aiuterebbero a inibire il virus. In laboratorio. Contemporaneamente l'istituto di virologia di Wuhan annuncia di aver individuato altri due farmaci, il Remdesivir (in fase di ricerca clinica per la cura dell'ebola) e la clorochina (anti malarico).
Sulla possibile soluzione dell'epidemia del 2020 si potrebbe scatenare persino una «guerra fredda» delle case farmaceutiche: Arbidol è infatti un farmaco antivirale ad ampio spettro, sviluppato dall'azienda russa Pharmstandard contro l'influenza di tipo A e B. Al momento viene utilizzato in Russia e in Cina, ma non è ancora approvato nei paesi occidentali. Invece il Remdesivir è prodotto dall'azienda Usa Gilead, che ha già firmato un accordo con l'ospedale di Pechino per i test. Il farmaco è stato anche inserito nel cocktail di antivirali somministrato alla coppia di cinesi ricoverata allo Spallanzani di Roma. «Stiamo utilizzando le molecole indicate dall'Organizzazione mondiale della sanità come più promettenti sulla base dei limitati dati disponibili» specifica il direttore scientifico, Giuseppe Ippolito.
Nella confusione generale, il farmacologo Silvio Garattini sostiene sia «molto interessante» lo studio sull'anti malarico clorochina. «In Francia hanno visto che se si inocula il Coronavirus in una scimmia e la si tratta con la clorochina, un effetto c'è. Quindi si può pensare ci sia la possibilità di utilizzarla sull'uomo. Al momento è ragionevole usare gli antivirali già noti, se funzionassero sarebbe un bel vantaggio perché sono già in commercio, non servirebbe la sperimentazione e se ne conoscono già i dosaggi». La comunità scientifica frena anche sull'annuncio dell'Imperial College di Londra che dice di poter realizzare il vaccino in 14 giorni. In realtà il vaccino verrà testato sugli animali la prossima settimana con studi sull'uomo solo in estate.
Parallelamente alla corsa per cercare la cura, c'è un altro problema da arginare: quello dei «super diffusori», cioè le persone che possono trasmettere il virus più velocemente e a più soggetti rispetto ad altri. Se solitamente un individuo infetta 2 o 3 persone, nella Cina orientale è capitato che una stessa persona ne infettasse dieci. E un dato del genere non può che far paura, soprattutto se si considera che la giornata di ieri, secondo l'Oms, è stata quella «con il più alto numero di contagi, arrivando a quota 24.363 casi in Cina e 490 decessi». Sui numeri c'è anche da registrare un giallo che risale ai primi due giorni di febbraio.
Secondo quanto riportato dal quotidiano Taiwan news, la società cinese di telecomunicazioni Tencent il primo febbraio avrebbe riportato dati sul contagio molto più allarmanti rispetto a quelli ufficiali pubblicati (o corretti?) il giorno dopo: avrebbe cioè contato 154mila casi conclamati (contro i 14mila ufficiali), 24mila morti (contro i 304 annunciato il giorno dopo), quasi 80mila contagi sospetti (ridotti a 19mila dai dati ufficiali).
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