Appello radical chic ai media: «Non date spazio all'odio»

Gli intellettuali (di sinistra) di Nazione Indiana vogliono censurare la stampa: «Troppa cattiveria sui migranti, così alimentate la spirale di violenza»

di Paolo Bracalini

Si sentiva la forte mancanza di un appello intellettuale, anche a caso, ma meglio ancora se contro il razzismo o affini, ma niente paura, col lunedì mattina è arrivato. Quei fighetti di «Nazione Indiana», circolo di scrittori, poeti, letterati eccetera impegnati a «promuovere la cultura, le scienze e la democrazia» (vasto programma), erano già tremendamente in pensiero per le sorti del diritto d'asilo nel nostro paese, ma con la sparatoria di Macerata sono caduti nello sconforto più nero. Quello che li angoscia non è tanto la violenza nelle città italiane, o l'immigrazione che fornisce nuove reclute alle gang che gestiscono spaccio e prostituzione (i nigeriani sono specializzati nel settore, riporta la Dia). No, sono allarmati per i media che ne parlano. Ecco quindi l'appello a «direttori e direttrici» (mai dimenticare il femminile, è discriminatorio, Boldrini docet) di giornali e testate radiotelevisive per darsi una bella regolata, perchè così proprio non va.

Gli scrittori e scrittrici, studiosi e studiose, sono «preoccupati dal dilagare dell'odio nei media italiani. Odio verso le donne, i migranti, i figli di migranti, la comunità Lgbtq». Questo odio, scrivono, che «è ormai il piatto principale di moltissimi talk show televisivi», contraddice «l'essenza stessa della nostra Costituzione, il richiamarsi a un patto antifascista e democratico». Figuriamoci che effetto poteva scaturire il giustiziere della domenica maceratese, per di più con una mezza patente di leghista, sulle anime sensibili di Nazione Indiana. «L'attentato di Macerata, dove un simpatizzante neonazista ha cercato la strage di uomini e donne africani, è qualcosa che ci interroga nel profondo - si legge nell'appello - Le vittime sono diventate il bersaglio di un uomo la cui azione terroristica si è nutrita della narrazione tossica veicolata non solo da internet ma anche dal mainstream mediatico. Dopo quello che è successo non possiamo restare in silenzio». L'impegno richiesto è di non parlare più di migranti «solo come stereotipo o nei peggiori dei casi come bersaglio dell'odio», a 80 anni dalle leggi razziali «non possiamo permettere che ritornino quelle parole e quegli atti della vergogna».

I responsabili dell'informazione italiana devono intervenire, rieducare i loro cronisti e conduttori al linguaggio corretto, di «non prestare più il fianco alla propaganda d'odio», altrimenti saranno complici della «spirale di violenza», come già ampiamente denunciato da Saviano, da Grasso e compagni. Chiudono citando Antonio Gramsci: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri».

Seguono le firme e si definisce il loro, di mondo, il piccolo e selettivo (se non ti uniformi, sei fuori) mondo della cultura italiana: autori che si premiano tra loro, si recensiscono a vicenda, si pubblicano e invitano reciprocamente. C'è Benedetta Tobagi, area Repubblica, ex incolore consigliere Rai in quota minoranza Pd.

C'è Christian Raimo, che si era fatto notare per una perfomance a Rete4 da Belpietro («Fate una televisione razzista e islamofoba! È orripilante! Non c'avete un altro servizio sui negri cattivi?»), poi il giallista Carlo Lucarelli, gli scrittori Giuseppe Genna, Antonio Scurati, studiosi di islam, collaboratori del Manifesto, insegnanti. Una compagnia molto variegata nel profilo culturale. Quello politico, un po' meno.

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