Inevitabilmente, una tragedia come l'uccisione feroce di Luca Varani diviene pane per i denti di psichiatri e criminologi abituati a fare i coni con le frontiere sempre più estreme della violenza. Alessandro Meluzzi, che pure in questi campi ha fatto i calli, non nasconde che il delitto di via Igino Giordani fa un po' impressione anche a lui. Ma poi ci ragiona. E approda a una conclusione: gli assassini di Varani «sono l'altro volto di Jihadi John. Sono i foreign fighters della coscienza metropolitana».
Più che altro , professore, sembra che fossero imbottiti di droga.
«Parrebbe. Ma cominciamo a sgombrare il terreno da un dubbio: questo non modifica in niente la loro responsabilità. L'unico stato in cui la droga può diventare un esimente è la tossicodipendenza cronica. Qui invece siamo di fronte all'effetto congiunto di alcol, cocaina, esaltazione mentale. Un cocktail dagli effetti psicobiologici incalcolabili, ma che non costituiscono un attenuante. Erano capaci di intendere e di volere, insomma».
L'aspetto più incredibile è forse la ricerca premeditata della sensazione forte di ammazzare un essere umano.
«Bisognerebbe sentire i loro racconti in prima persona. Ma se le cose stanno così, è chiaro che siamo davanti a un contenuto di violenza e di sopraffazione che lascia sgomenti. E che però non arriva inaspettato, perché è il prodotto di una subcultura di cui vediamo gli effetti dappertutto. Sono personaggi che danno un senso di nulla, di nichilismo esistenziale che in questo caso esplode come un Titanic su un iceberg sommerso, ma che vediamo all'opera spesso, anche se in modo fortunatamente meno grave».
Alla radice cosa c'è?
«C'è la totale assenza dell'altro dalla scena emotiva: una condizione post-umana in cui l'altro è solo un mezzo da utilizzare, i rapporti sono solo strumentali, il sesso puro passaggio all'atto, la violenza è scarico emotivo».
La mancanza di valori profondi basta a spiegare tutto? Non c'è anche una percezione alterata della realtà, la incapacità di distinguere tra violenza reale e fiction?
«Ma si tratta di due facce della stessa medaglia! Disprezzare la vittima e scambiare la realtà per finzione sono i due prodotti di una sterminata solitudine che inizia all'interno delle famiglie monofiglio, e prosegue nelle relazioni mediate dal web, dai giochi di ruolo, dalla playstation spinta fino alla crisi epilettica. Il vuoto dove è tutto possibile inizia nella prima infanzia di bambini sballottati da una casa all'altra, dove gli insegnanti sono gli unici a tentare il lavoro che le famiglie non fanno più, e per questo rischiano gli schiaffoni da genitori che allevano dei narcisi onnipotenti».
Messa così, non c'è rimedio.
«Ci sarebbero, ma sono complessi. Sant'Agostino diceva: chi non ha una buona ragione per morire non ha neanche una buona ragione per vivere. Questi non hanno né l'una né l'altra.
Mi ricordano i tagliagole dell'Isis, che anche loro sono figli dell'incapacità di rapportarsi con l'altro da sé: e soprattutto della mancanza di quel minimo di trascendenza che dà senso alla vita. Si vive nell'incertezza che l'altro esista, e alla fine dubiti anche di esistere tu stesso. Non a caso l'altra faccia di questo vuoto è l'autolesionismo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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