Con le dovute proporzioni, il carico fiscale sull'automobile è un po' come il debito pubblico italiano: più passano gli anni e più aumenta. Tra il 2009 e il 2016 le tasse che incombono sui veicoli in circolazione sono cresciute del 10,1%, in termini assoluti di 6,7 miliardi, rispetto a un'inflazione salita di 9 punti percentuali. L'ultimo dato annuale riguarda il 2016, quando il prelievo sui 42,8 milioni di autoveicoli presenti in Italia aveva raggiunto l'iperbolica cifra di 73 miliardi di euro. Il dato pone il gettito del settore davanti a quello che deriva dalle imposte su tutti gli immobili: poco più di 40 miliardi. «E ciò - sottolinea la Cgia - tenendo presente la pesante crisi che ha colpito l'auto fino a tre anni fa». In una recente nota, l'Anfia, cioè l'associazione della filiera italiana dell'automotive, aveva posto l'accento sul carico fiscale del 2016, definendolo «il valore più elevato di sempre». «E non ci sono segnali di inversione della tendenza - così il presidente di Anfia, Aurelio Nervo - dopo l'aumento registrato nel 2015, primo anno di effettiva ripresa del mercato». La voce che incide di più sulle tasche degli automobilisti resta quella delle imposte e delle accise sui carburanti. «Ben 34,8 miliardi, pari a poco meno della metà dei 73 miliardi complessivi, ci vengono prelevati nel momento in cui ci si reca a fare il pieno», spiega Paolo Zabeo, che coordina l'Ufficio studi della Cgia.
Il capitolo carburanti, nonostante le promesse non mantenute di una revisione, propone ancora le accise per la guerra di Abissinia del 1935 e per la crisi di Suez del 1956, oltre a tante altre ancora. Zabeo ricorda anche che «per ogni litro di diesel acquistato alla pompa, il 63% circa del prezzo è riconducibile al peso del fisco; per ogni litro di benzina, invece, l'incidenza sale al 66%».
Ma tra le voci fiscali che gravano maggiormente sui possessori di un autoveicolo, la Cgia segnala l'Iva sulla manutenzione e riparazione/acquisto di ricambi, accessori e pneumatici (nel 2016 ha pesato per 10,2 miliardi), mentre quella sull'acquisto delle auto è costata poco più di 7 miliardi. Da parte sua, invece, il bollo per il quale si parla da tempo di abolizione, ha assicurato alle casse delle Regioni 6,6 miliardi. Ma ci sono anche le imposte sui parcheggi e sulle contravvenzioni (5,6 miliardi), quelle sulla Rc auto (quasi 3,9 miliardi) e i pedaggi (2 miliardi). L'imposta di trascrizione ha invece permesso alle Province di incassare 1,7 miliardi. E sui lubrificanti, infine, imposte e accise sono costate agli automobilisti 1 miliardo di euro. «L'aumento di gettito ascrivibile all'Iva sull'acquisito dei mezzi, i pedaggi e l'Imposta di trascrizione - precisa Renato Mason, segretario della Cgia - si è verificato negli ultimi anni a seguito della ripresa del mercato automobilistico».
In Italia politici e ambientalisti se la prendono con l'eccessivo tasso di motorizzazione, causa di aumenti del traffico e di maggiori emissioni ai danni di clima e salute. La Cgia, da parte sua, giustifica la crescita del parco circolante (su un totale di 37,8 milioni di auto, oltre 10 milioni sono di vecchia omologazione, quindi inquinanti e pericolose a livello di sicurezza) anche con la bassa qualità ed efficienza del trasporto pubblico urbano.
Secondo una ricerca di The European House-Ambrosetti, l'Italia potrebbe risparmiare fino a 12 miliardi l'anno, attraverso una migliore organizzazione della mobilità nelle 14 città metropolitane. «Non avendo un sistema di pubblica mobilità dignitoso - avverte Zabeo - si è costretti a utilizzare il nostro automezzo, subendo, tra le altre cose, un carico fiscale spaventoso».
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