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Un Belpaese dal liberismo impossibile

Nel Novecento - sulla tracce dei tre totalitarismi che avevano dominato il secolo - era stata la politica a dettare principi e procedure all'opinione pubblica che ad essi doveva adeguare il proprio consenso. Nel secondo millennio, con l'allargarsi della base democratica prodotta dal '68, è il populismo, diffuso soprattutto nelle sfere più basse e meno attrezzate culturalmente, più sensibili alla demagogia della popolazione, a dettare alla politica, che vi si adegua, le condizioni del proprio consenso. È la conseguenza dell'abbandono dello studio della storia - che era stata la base sulla quale si era sviluppata la filosofia politica moderna - che ha fatto perdere di vista i fatti, la realtà effettuale che, da Aristotele a Machiavelli, aveva empiricamente condizionato la diffusione della filosofia politica moderna. Ora, sono posti sotto accusa liberalismo e capitalismo - che pur sono stati fondamento delle libertà e del benessere dei quali ha goduto l'umanità dalla fine del Settecento - in nome di una regressione, se non alla contrapposizione ideologica ottocentesca fra liberalismo e comunismo, quanto meno a quella fra liberalismo e comunitarismo, che è la versione attenuata del collettivismo, condannato e sconfitto dalle «dure repliche della storia». È singolare che istanze collettive, di matrice marxiana, smentite e condannate dalla storia, pretendano di avere il sopravvento sull'individualismo liberale, negandone attualità e validità, per ripristinare contrapposizioni ottocentesche, se non fra liberalismo e comunismo, quanto meno fra liberalismo e comunitarismo.

Il fenomeno è soprattutto acuto da noi, in Italia, non a caso il Paese che ha generato, e coltivato, il più forte comunismo occidentale fino alla sua dissoluzione e anche il Paese più in ritardo rispetto ad un approccio empirico di matrice anglosassone. L'Italia paga il prezzo di non aver sviluppato una cultura liberale, quando ce n'erano le condizioni storiche, ai tempi della Riforma protestante, e di essere stata influenzata da una controcultura cattolica, che aveva trascurato il contributo individuale del protestantesimo alla formazione di una mentalità politica liberale diffidente di ogni autorità costituita, compresa quella della Chiesa, oltre a quella dello Stato. Il liberalismo - che con Cavour e i Savoia ha contribuito alla nascita e allo sviluppo dell'unità nazionale - non è contrario allo Stato, come una vulgata popolare tende a far credere in funzione del dominio di una sinistra demagogica, bensì è a favore di uno Stato centrale sufficientemente forte da fissare le regole del gioco alle quali l'opinione pubblica deve poi attenersi. L'esperienza dei Paesi anglosassoni insegna.

Il nodo della questione sta tutto nella differenza fra un approccio alla realtà di tipo empirico e uno di tipo ideologico, la dove il primo si fonda sulla realtà storica, sulla realtà effettuale, e genera autonomia e libertà, mentre il secondo su un'idea della realtà come dovrebbe essere, che genera sudditanza.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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