Bossi ruggisce ancora. Adesso combatte il "colonialismo"

Il Senatur: «Hanno fatto fuori me, non il nodo Nord»

Bossi ruggisce ancora. Adesso combatte il "colonialismo"

Milano - Seppur rauco, il vecchio leone ruggisce ancora. È ferito, il Bossi. Ha lo sguardo malinconico perché è stato colpito negli affetti per quello che denuncia essere un «disegno politico per farmi fuori». È colpito ma non affondato, il Senatur, che giura di essere «sereno. In fondo me l'aspettavo» sussurra tirando il toscano con il solito vigore. Barcolla ma non cade il «capo», come continuano a chiamarlo quelli che gli vogliono bene, perché sa che lui, come persona, può anche uscire di scena; ma i riflettori su quello che dice, su quello che denuncia, su quello che urla, non si spegneranno mai.

Dal federalismo al colonialismo. Quel maledetto ictus lo fa quasi biascicare ma la sua analisi resta lucida e crudele, come un pugno nello stomaco: «È colpa dei colonialisti - sentenzia in un'intervista al Corriere della Sera - Qualcuno starà esultando oggi. Qualcuno starà stappando le sue bottiglie. Però potranno gioire per poco. Perché il loro problema non si risolve e molto presto tornerà a galla». Al di là del futuro ruolo del Senatur, il nodo Nord non si scioglie; resta lì. E il pettine è destinato a incepparsi. Nonostante tutto: nonostante un processo che per il Senatur è stato costruito sul nulla, solo per disarcionarlo dalla tolda di comando del Carroccio; nonostante i «colonialisti che mangiano mentre gli altri lavorano»; nonostante la nuova Lega salviniana sia diventata strabica e guardi verso Sud soltanto per titillare le ambizioni governative di Salvini.

Non corre buon sangue tra il Bossi e il Salvini e questo è risaputo. Sono come il vecchio leone e il giovane mastino. A poche ore dalla sentenza di condanna, per esempio, uno dei bracci destri di Salvini, Luca Morisi, sbeffeggiava l'ex capo su facebook quasi esultando per il verdetto: «Avanti, futuro!» scriveva sotto le foto dei Bossi Umberto e Renzo e di Belsito Francesco. E lo stesso segretario alzava le spalle: «Bossi? Dispiace ma fa parte di un'altra era politica». Come a dire: un rottame da mettere in soffitta più che un pezzo d'argenteria da esporre in salotto.

Chiaro che tutto questo fragore di ruspa interna, nel tentativo di rottamare in via definitiva il «fondatore», abbia fatto saltare i nervi ai tanti tifosi del Senatur. Sono i duri e puri, i padani, quelli del «prima il Nord» che assieme alla parabola discendente del «capo» vedono traditi i loro sogni nordici di libertà.

Traditi. Una delle parole chiave che rimbomba nella pancia del padano doc. E quale occasione migliore per rivangare vecchi rancori? Una militante legge il commento di ieri l'altro di Bobo Maroni, regista della rivolta delle scope («Mi spiace per lui, non per quelli che hanno sfruttato lui e la sua malattia in modo vergognoso»).

Solo che qualcuno tira fuori un vecchio aneddoto: Cossiga mise in guardia l'Umberto su Maroni e disse «Quello, appena ti sei ammalato, è pronto a pugnalarti». E Bossi: «Macché presidente, esageri... Bobo è un bravo ragazzo». Il cuore del vecchio leone.

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