Il Brasile caccia Battisti E adesso dove scapperà?

L'ex capo dei Proletari armati verso l'espulsione. I legali: «Faremo ricorso» Ora potrebbe trovare rifugio in Messico o in Francia. Ma nessuno lo vuole

Le sue colpe ripiombano su Cesare Battisti all'improvviso, quando ormai il terrorista rosso probabilmente si sentiva al sicuro per sempre, e anche i familiari delle sue vittime avevano quasi rinunciato ad avere giustizia. Protetto dal governo brasiliano di Inacio Lula, protetto dalla sua erede Dilma Roussef nonostante la decisione dei giudici di estradarlo in Italia. Invece, senza che in Italia nemmeno si fosse saputo, la Procura federale brasiliana non aveva mollato il colpo. Aveva impugnato il provvedimento con cui, dopo il decreto di Lula, il dipartimento dell'Immigrazione aveva concesso a Battisti il permesso di soggiorno. E ieri mattina un giudice del tribunale regionale di Brasilia, la signora Adverci Rates Mendes de Abreu, deposita la sua sentenza: permesso annullato. Battisti viene espulso, non estradato. Potrebbe cercare di essere accolto in un altro Paese, ma a questo punto è improbabile che trovi un altro Lula disposto ad ospitarlo. Ma, come dice Alberto Torregiani, figlio dell'orefice milanese che fu una delle sue vittime, «il governo italiano deve subito avanzare un'altra richiesta di estradizione prima che scappi di nuovo».

In Italia lo aspettano quattro ergastoli, uno per ognuno dei quattro delitti di cui si macchiò quando era il killer di fiducia dei Pac, Proletari armati per il comunismo, una delle più ottuse e feroci tra le formazioni nate sull'onda della follia brigatista. Nonostante la pesantezza delle prove, e le confessioni dei suoi compagni di allora, Battisti nella sua interminabile latitanza è riuscito a ricostruirsi una immagine da raffinato intellettuale gauchiste che gli ha garantito le coccole della sinistra francese, ai tempi in cui la «dottrina Mitterrand» aveva fatto di Parigi il rifugio dei terroristi di mezzo mondo. Scriveva gialli, Battisti. E l'aura di intellettuale gli rimase cucita addosso anche quando, dopo che la Francia aveva iniziato a mostrarsi meno ospitale, si era spostato in Sudamerica. Per garantirgli lo status di rifugiato, il presidente brasiliano Lula arrivò a sfidare e a scavalcare la magistratura.

Come è stato possibile, cosa è cambiato? Nel contenzioso tra Italia e Brasile pesa da qualche mese un caso speculare, quello del banchiere Henrique Pizzolato, detenuto in Italia, di cui la magistratura sudamericana sta chiedendo da tempo l'estradizione senza ottenerla: appena una settimana fa in Brasile aveva destato scalpore il documento con cui venti deputati del Pd si erano opposti alla consegna di Pizzolato, ex direttore del Banco do Brasil, al suo paese. Che una diplomazia parallela si sia attivata per una sorta di scambio non è per ora una ipotesi suffragata da elementi concreti. Ma di certo il caso Pizzolato aveva rinfocolato in Brasile anche l'attenzione sull'affare Battisti, strappandolo all'archivio dei cold case s.

Nel provvedimento con cui il giudice Mendes de Abreu ha annullato il permesso di soggiorno di Battisti non ci si addentra nella analisi dei delitti per cui l'italiano è ricercato, che per la Corte Suprema sono «delitti comuni e non politici» (e sulla stessa linea si era mosso il ricorso della procura). La giudice si limita a ricordare che la legge brasiliana del 1980 sull'immigrazione recita testualmente che «non si concederà visto a straniero condannato o processato in un altro paese per crimine doloso, passibile di estradizione in base alla legge brasiliana». Tanto basta per ordinare l'espulsione; e lo stesso giudice fa presente che «non è necessaria la consegna dello straniero al suo Paese di origine, nel caso all'Italia, potendo esserlo al Paese di provenienza o di un altro che sia disposto a riceverlo».

I legali di Battisti annunciano

ricorso, «non compendiamo come la sentenza tenti di modificare una decisione della Corte costituzionale e del presidente della Repubblica», dicono. Ma la fuga più lunga degli anni di piombo forse è davvero prossima alla fine.

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