La premier britannica si prepara a una nuova mozione di sfiducia. È trascorsa meno di una settimana dalla sfiducia interna al suo Partito conservatore che già la attende un nuovo banco di prova. Ieri il leader laburista Jeremy Corbyn ha presentato una mozione di sfiducia personale contro May - e non contro l'esecutivo - perché la premier «non ha rispettato la data del voto su Brexit». L'accordo raggiunto con Bruxelles sull'uscita del Regno Unito dall'Ue doveva essere sottoposto al voto del Parlamento l'11 dicembre, ma il governo all'ultimo momento aveva deciso di rinviarlo in mancanza di una maggioranza necessaria per farlo approvare. Ieri, riferendo alla Camera dei Comuni sugli esiti dell'ultimo vertice Ue, la premier ha comunicato che il dibattito parlamentare sull'accordo si svolgerà dopo la pausa natalizia, a partire dalla settimana del 7 gennaio 2019, mentre il voto si terrà all'inizio della terza settimana di gennaio, quindi circa un mese dopo la data prestabilita. Qui si è inserita la mozione di sfiducia del partito laburista, motivata con il fatto che è questo «l'unico modo» per costringere a calendarizzare la votazione entro questa settimana, prima delle feste. I laburisti, e anche parte dei deputati conservatori, vogliono anticipare il voto per avere più tempo per considerare le alternative - secondo referendum, uscita senza accordo e modello Norvegia - prima dell'entrata in vigore della Brexit il 29 marzo.
Sembra difficile che la mozione - che non è ancora stata messa in calendario - possa essere approvata, dato il sostegno a May dei conservatori e del Dup nordirlandese. E, se anche passasse, non causerebbe la caduta del governo. Tuttavia avrebbe un grande valore simbolico ed è vista come una tattica per screditare la reputazione e l'autorità dell'inquilina di Downing Street.
E va a inserirsi nelle presunte trame di Tory e Labour per indire un secondo referendum sul divorzio tra Londra e Bruxelles di cui scriveva due giorni fa la stampa britannica. Ieri la premier conservatrice si è di nuovo detta contraria a questa possibilità, sostenendo che una nuova consultazione sulla Brexit «tradirebbe la fiducia del popolo britannico».
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