Negano che ci sia una guerra tra procure di Roma e Napoli nei palazzi di giustizia, eppure sul caso Consip ogni scandalo accentua le differenze tra due metodi investigativi. E nel mirino c'è ancora una volta lui, il pm anglopartenopeo Henry John Woodcock, titolare dell'inchiesta prima che passasse nella Capitale il filone principale. Sul sostituto procuratore pesa l'istruttoria disciplinare avviata dal Procuratore generale della Cassazione e, dopo l'ultima intercettazione tra Matteo e Tiziano Renzi finita nel libro del giornalista Marco Lillo, con la grancassa del Fatto quotidiano, anche il Guardasigilli Andrea Orlando ha disposto un'ispezione. La vicenda è sotto osservazione anche del Csm, che un mese fa ha negato l'apertura di una pratica in prima commissione chiesta dal laico di Fi Pierantonio Zanettin, ma ora potrebbe ripensarci. In un'intervista a Radio radicale Zanettin è tornato alla carica, dichiarandosi «allibito» per il fatto che il vertice di Palazzo de' Marescialli non voglia approfondire «fatti così inquietanti», che rappresentano un «inquinamento del processo democratico».
Pesa sulla vicenda una frase a Radio 24 di Nicola Gratteri, stimatissimo procuratore di Catanzaro che ha appena scoperchiato i traffici nel più grande centro calabrese per profughi: «Quando la polizia giudiziaria fa la fuga di notizie, c'è quanto meno una sorta di silenzio-assenso da parte della Procura. Sennò le notizie non escono». Il pm ha alle spalle un'esperienza di 30 anni di intercettazioni e insiste sulla «tracciabilità» degli interventi sui file audio (la conversazione non era stata trascritta). «Il procuratore - spiega - è il responsabile della sala di registrazione... Se io vado, vedo esattamente chi ha scaricato il file. L'ufficiale di polizia giudiziaria dirà me l'ha chiesto il procuratore. Ma se non ha una ricevuta, risponde lui». E anche da Roma arriva una nota polemica che tra le righe punta verso Napoli. La dirama il procuratore capo Giuseppe Pignatone per smentire la distruzione di una delle intercettazioni: «Peraltro - aggiunge in modo significativo il magistrato - l'eventuale distruzione poteva essere disposta solo dall'Ufficio che l'aveva disposta».
È a Napoli che a marzo si è deciso di riprendere a spiare le conversazioni di Renzi senior, interrotte a dicembre. Si è fatto contro il parere di Roma, visto che il padre dell'ex premier è indagato per un reato che non giustifica le intercettazioni: traffico d'influenze illecite. È a Napoli che il lavoro di ascolto è ancora affidato al Noe dei carabinieri, cui i pm della capitale hanno revocato l'incarico dopo le prime fughe di notizie e gli errori o falsificazioni nelle trascrizioni che hanno fatto finire sotto inchiesta il capitano Gianpaolo Scafarto, che peraltro afferma di essere stato sempre diretto da Woodcock.
Ora, l'ennesima violazione del segreto investigativo e Renzi che dice: «Le intercettazioni sono illegittime. Voglio sapere chi ha violato la legge». Come sono finite in pasto ai media le sue chiacchiere con il babbo, non penalmente rilevanti, ma politicamente sensibili? Il presidente del Pd Matteo Orfini parla di «attacco alla democrazia», Vito Crimi del M5S di «piccola recita» tra l'ex premier «che sa di esser intercettato» e il padre «che sa che è sotto indagine» e Daniela Santanchè di Fi dice che ora il Pd si rende conto del prezzo della gogna mediatica.
Ieri al Csm la questione non è stata affrontata in plenum, ma si è riunito a lungo il Comitato di presidenza, che decide sull'apertura delle pratiche ed era stata preannunciata una
comunicazione. Alla fine tutto è stato rinviato ad oggi, quando proseguirà l'incontro tra vicepresidente Legnini, primo presidente Canzio e Pg della Cassazione Ciccolo, che secondo i rumors sarebbe stato pieno di tensione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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