Al telefono, Giuseppe Costanza, uomo di fiducia ed autista del giudice Falcone, non nasconde la propria commozione anche 25 anni dopo la strage. Ricorda come se fosse ieri quel tragico giorno di Capaci. Lui, pur se gravemente ferito, si è salvato miracolosamente perché al volante dell'auto, dall'aeroporto al centro di Palermo, volle andare Falcone per stare accanto alla moglie che preferiva non sedere dietro: nel sedile posteriore c'era, quindi, proprio l'autista. Costanza, che solo adesso ha ricevuto la medaglia d'oro al valor civile dopo anni e anni di colpevole latitanza da parte dello Stato, continua a chiedersi quale sia stato il vero motivo di quel tragico 23 maggio del 1992: perché uccidere il magistrato vicino a Palermo quando, risiedeva, quasi tutta la settimana, come procuratore nazionale antimafia, a Roma dove il servizio di scorta era anche meno rigido? Il collaboratore di Falcone è convinto che il giudice avesse riaperto nella capitale vecchi «dossier» che in Sicilia erano stati archiviati: il riavvio di certe indagini aveva forse preoccupato qualcuno. Costanza racconta la sua via crucis personale in un bel libro di Riccardo Tessarini appena pubblicato, Stato di abbandono (Minerva Editore). Gli chiedo se Falcone fosse consapevole dei rischi che stava correndo: «Certamente, anche perché, la sorveglianza era, comunque, più stretta prima quando era procuratore a Palermo: negli ultimi tempi, tornava in Sicilia solo per i weekend perché lui, nonostante tutto, amava così tanto la sua terra da mettere a rischio la vita stessa».
Mi chiedo, considerando anche le tante critiche rivolte in questi mesi alla magistratura italiana, se il sacrificio di Falcone, così come quello, due mesi dopo, di Paolo Borsellino, sia servito a qualcosa. Dopo aver intervistato il suo autista, penso proprio di sì. Non è un caso che l'uomo di fiducia di Falcone venga finalmente invitato a parlare di giudici e mafia nelle scuole dell'isola: «Su questi temi trovo una sensibilità molto maggiore nei ragazzi: chiedono, si interessano, vogliono sapere». Loro - è la nostra speranza - sembrano avere davvero voltato pagina.
Falcone e Borsellino: due veri amici anche se avevano caratteri molto diversi. Riuscivano ad integrarsi perfettamente: «Si fidavano come fratelli. A volte uno diventa fratello anche se non lo è di nascita». Forse Borsellino era ancora più alla mano di Falcone come conferma un piccolo episodio raccontato da Costanza: «Un giorno lo incontrai per caso nei pressi del tribunale. Era fuori che passeggiava da solo. Una cosa che non doveva assolutamente fare! Dottore, esclamai, ma che fa?. Anch'io ho nostalgia di camminare senza nessuno attorno, rispose».
Se il sangue versato nella strage di Capaci non è stato inutile, c'è,
comunque, una frase di Falcone che merita attenzione. Diceva sempre che la mafia non è tanto la gente che ti spara, ma soprattutto quella che ti emargina, che ti lascia da solo. Un pensiero che fa riflettere molto, 25 anni dopo.
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