A Theresa May non interessa affatto la Swinging London. Lei non sa cosa farsene, quando c'erano i Beatles e i Rolling Stones, lei studiava geografia a Oxford, in seguito avrebbe fatto collezione di scarpe leopardate e di libri di cucina ma la vera «dondolante» Inghilterra non le era mai entrata in testa. Eppure quella fu l'epoca della rivoluzione culturale, una laboratorio creativo, i favolosi anni Sessanta, lo sbarco sull'isola di migliaia di giovani alla ricerca del nuovo, del diverso, di una svolta a una vita continentale ancora piatta. Le ultime notizie sulla Brexit sono minacciose: non è l'Inghilterra a uscire dall'Europa ma sono gli europei tenuti alla larga dall'Inghilterra. Fine della libera circolazione, fine dei sogni di un mestiere casuale, episodico ma pieno di cose buone, camerieri, barbieri, facchini, tutti bloccati e respinti alla frontiera. Non c'è più spazio per i sogni e le avventure, chi vuole mettere piedi nel regno dovrà esibire i requisiti, avere giù un posto di lavoro, richiedere il visto che avrà, però, la durata di un anno. Non un giorno di più, l'isola del tesoro diventa l'isola della paura. Lady M ha però chiarito che le porte resteranno aperte per i professionisti qualificati, medici, infermieri, ingegneri, imprenditori, in breve chi porta reddito, il resto, via, fuori, go home. Secondo i dati della Coldiretti sono almeno quindicimila i giovani italiani presenti in Inghilterra, quasi tutti sbarcati alla ricerca di una occupazione. La May non ha intenzione di occuparsi più di loro e degli altri, da ogni dove del vecchio continente. Così è sicura che l'Inghilterra ritorni culla del benessere.
Sarebbe opportuno che qualcuno, della sua corte, le consigliasse di rileggere questa frase: «Io affermo che quando una nazione tenta di tassare se stessa per raggiungere la prosperità è come se un uomo si mettesse in piedi dentro un secchio e cercasse di sollevarsi per il manico». (Winston Churchill)
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