Carisma e decisionismo: Trump lancia la nuova destra

Il candidato repubblicano imposta la sfida all'odiata Clinton sul suo collaudato ruolo di numero uno

Carisma e decisionismo: Trump lancia la nuova destra

L'America come paradiso degli americani, ma assolutamente off limits per tutti gli altri. E un'America come back yard, il giardino di casa dove ci ritroviamo tutti nelle happy hours con una in mano e il barbecue accanto alla piscina. Un'America blindata come fortezza dai mille cannoni sdegnata e sdegnosa con i nemici e ancor più con gli amici (dai quali ci guardi Iddio). Insomma, un'America spaziale che rifiuta di farsi i fatti degli altri. Oggi tutti s'interrogano su quale di queste mezze definizioni sia quella più e appropriata per capire l'idea di America che è nella testa Donald Trump dopo il suo teatrale e lunghissimo (un'ora e un quarto) discorso di accettazione della candidatura repubblica a correre per la Casa Bianca. Ha parlato come un attore che conosce bene la televisione, lunghe pause con cui far salire il picco delle attese scatenare l'applauso liberatorio. Ha demonizzato la Clinton dipingendola come una strega ormai sul rogo, che porta morte e sventura e se n'è infischiato del senatore Ted Cruz venuto al microfono solo per rifiutargli l'endorsement.

I veterani del giornalismo statunitense hanno detto di non aver mai assistito a una convention come quella di Cleveland di cui tutti hanno cercato, a sinistra come a destra, di dire male ma che si è chiusa invece con un indiscutibile successo sia di Donald Trump che della sua famiglia. Ha trionfato la figlia Ivanka che ha garantito l'eguaglianza fra tutti i lavoratori senza differenze di genere come già accade nelle aziende di suo padre. E poi si sono viste le presenze incredibili e chiassose dei neri che deliravano per Donald, dei «Latinos for Trump», delle donne per Trump, e dei messicani per Trump perché i messicani che vivono legalmente negli Usa temono l'arrivo dei connazionali malavitosi che lavorano in nero. Nella notte di giovedì è scattata insomma the sparkle, la scintilla fra il candidato dalla zazzera colorata (si sono viste anche molte parrucche alla Trump indossate dai delegati) e l'intero popolo americano: gli ascolti televisivi sono stati da record assoluto e tutto è filato perfettamente liscio nella coreografia con un'orgia di palloncini bianchi rossi e blu, decorazioni bellissime di bandiere e piste da ballo dove si sono scatenati a migliaia.

L'aria era veramente quella di un'enorme festa di famiglia, più che il congresso di un patito. Non tutto è chiaro dal punto di vista politico della convention in cui ha prevalso l'incoronazione sulla riflessione. Fra pochi giorni parte la convention democratica di Filadelfia dove Hillary Clinton dovrà cercare di rispondere con tutte le armi della comunicazione che però non le sono del tutto congeniali: Hillary fa fatica e indossa soltanto due o tre espressioni. Da lì partirà il duello vero e proprio fra il developer costruttore di case Trump che non viene dalla politica, e la donna che è cresciuta soltanto nel mondo politico di Washington, tutto intrighi e accordi sottobanco. La guerra ormai non è però soltanto fra due candidati, ma fra due Americhe che si odiano. Quella della Clinton è di vecchia scuola. Quella di Trump non si sa ancora di quale tipo sia perché la destra tradizionale conservatrice ne è esclusa. Certo, hanno provocato molta preoccupazione le critiche che il candidato repubblicano ha fatto alla Nato e il tono quasi fraterno usato con Putin al quale sembra riconoscere il diritto di esercitare una forte e minacciosa influenza sui Paesi Baltici e sulla Polonia che vede i russi come il fumo negli occhi. Come papa Francesco disse «E chi sono io per giudicare i gay?», così Trump dice adesso «chi sono io per giudicare chi è democratico e chi no». Queste dichiarazioni provocano grande allarme sia fra i conservatori repubblicani che fra i tradizionalisti democratici.

Tutti gli analisti sono d'accordo nel dire che il progetto di Trump non è ancora chiaro e lui stesso ammette: «I conflitti ci sono e io sono per esperienza e carattere un mediatore». La medicina? I meeting. Ci si siede intorno a un tavolo e si discute finché l'accordo il deal non salta fuori. Una politica pragmatica leggermente divina. L'idea che Trump ha di sé è quella di un taumaturgo infinitamente saggio e influente, ma più ancora quella del fixer, l'uomo che risolve i problemi, sistema i casini fatti dagli altri e agisce con autoritario buonsenso, mettendo paletti e imponendo, senza complessi politicamente corretti, legge e ordine.

Nella sua idea di «America first», l'America al primo posto c'è il suo rasoio contro i trattati commerciali internazionali che secondo lui la danneggiano: sia l'Efta con Canada e Messico sia i nuovi trattati con l'Europa, verso la quale non sembra nutrire particolare affetto. Quanto all'Isis, ne ha garantito l'immediata distruzione, scatenando l'inferno americano contro il Califfato, ma non ha fornito dettagli.

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