Cronache

Chi indaga su Loris è il pm che ha creduto ai falsi pentiti di mafia

Oggi guida l'inchiesta sul piccolo ucciso ma Carmelo Petralia non ha saputo riconoscere il bluff dei "collaboratori di giustizia" dopo le stragi del '92

Chi indaga su Loris è il pm che ha creduto ai falsi pentiti di mafia

C'era una volta un pm. Uno dei pm applicati a Caltanissetta all'indomani delle stragi del 1992 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e incaricati di far luce su quegli eccidi. Uno dei pm che, indagando sulla strage di via D'Amelio, fu tra i primi a raccogliere, con Ilda Boccassini anche lei applicata in Sicilia in quel periodo, le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, all'epoca ritenuto – non dalla Boccassini che subito intuì il bluff – uno dei pentiti chiave per la ricostruzione delle fasi preparatorie della strage. Oltre vent'anni dopo, la storia è nota. Scarantino era un falso pentito, tassello con altri falsi pentiti di un depistaggio su quell'eccidio, processi da rifare e sei ergastolani arrestati all'epoca mandati a casa con tante scuse. E quel pm, come del resto gli altri colleghi (vedi Nino Di Matteo, il titolare del super processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia) ha fatto carriera. Anzi, proprio adesso è sotto i riflettori. Perché il pm Carmelo Petralia, adesso, è il procuratore capo della Repubblica di Ragusa. Ed è il procuratore che sta guidando l'inchiesta sull'uccisione a Santa Croce Camerina del piccolo Loris Andrea Stival, culminata lunedì scorso nell'arresto della madre del bimbo, Veronica Panarello, con l'accusa di omicidio aggravato e occultamento di cadavere.

Ci aveva creduto, l'allora pm oggi procuratore Petralia, 64 anni, in magistratura dal 1976, alle bugie del «picciotto» della Guadagna, un signor nessuno nel mondo della criminalità che aveva raccontato di aver partecipato al furto della Fiat 126 utilizzata per far saltare in aria in via D'Amelio Borsellino e i suoi agenti di scorta. Ci aveva creduto lui, come del resto anche gli altri pm (all'epoca lui lavorava in tandem con Francesco Paolo Giordano, a capo della procura di Caltanissetta c'era invece Giovanni Tinebra). E non si era preoccupato troppo nemmeno quando Scarantino - ben prima di essere sbugiardato molto più recentemente dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza - aveva cominciato con quell'altalena di ritrattazioni culminata poi nell'ammissione finale: sono stato imbeccato. «Anche un'eventuale ritrattazione – disse Petralia nel 1995 – non avrebbe alcun effetto sul processo, le indagini non sono legate solo alle dichiarazioni dei collaboranti». Certo, quando anni dopo Scarantino accusò lui, l'allora pm Anna Maria Palma e il defunto capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, gli diede addosso e con gli altri lo denunciò per calunnia. Risultato: otto anni di condanna per Scarantino, nel 2002. Ma all'epoca no, tutto sembrava ok. E infatti si arrivò anche a sentenze definitive.

Adesso è un'altra storia. Quei processi annullati, per Petralia come per gli altri magistrati ingannati dal falso pentito, pesano. E i protagonisti dell'epoca li ricordano con un imbarazzo. È avvenuto giusto un anno fa, poco prima di Natale, quando lo stesso Petralia e Paolo Giordano sono saliti sul banco dei testimoni al Borsellino quater . «L'organico della Procura di Caltanissetta – ha ricordato il procuratore di Ragusa che oggi accusa la mamma di Loris – era carente all'epoca. Collaboravamo con la Squadra Mobile di Palermo, diretta da Arnaldo La Barbera». Anomalie? Indizi del depistaggio che, adesso, sembra un dato acquisito? «Non c'erano comportamenti anormali – ha risposto il teste Petralia al nuovo processo, che smonta il suo – da parte delle forze di polizia». Ma poi ha aggiunto: «Non erano collaborazioni né semplici né cristalline, ma ci aiutavano ad aggiungere qualche tassello in più alla nostra ipotesi investigativa. Nell'ansia di sfruttare una prima pista che si cominciava a delineare con un minimo di futura utilizzabilità, parlando di una fase più propriamente esecutiva della strage, non mollavamo alla prima incongruenza, al primo punto di possibile incoerenza con altri dati».

E nello specifico, su Scarantino: «Le perplessità in procura erano all'ordine del giorno, c'erano momenti di palese incongruenza e incoerenza, una non compatibilità con collaboratori accreditati, ma anche alcune fonti di riscontro che si stavano individuando».

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