Ci sono 9mila progetti per prevenire catastrofi Ma nessuno li finanzia

Tutto fermo per burocrazia e poco coraggio. Con 20 miliardi l'Italia sarebbe in sicurezza

Ci sono  9mila progetti per prevenire catastrofi Ma nessuno li finanzia

S olo ora che si piangono i morti e si contano i danni di frane e alluvioni, si riscopre la prevenzione, che tutto questo poteva evitare. Ed è come riscrivere lo stesso articolo da decenni, sempre puntuale all'arrivo dell'autunno.

Tra le polemiche e lo scaricabarile, riemerge dall'acqua che tutto ha affogato un dato vergognoso: i fondi per intervenire «prima» ci sono, ma non vengono spesi. Per incapacità o indolenza degli amministratori locali, per assurdità delle leggi, per tortuosità della burocrazia. Finanziamenti dello Stato e anche dell'Unione europea rimangono inutilizzati perché non arrivano dalle Regioni i progetti delle opere necessarie contro il dissesto idrogeologico. Si sa quante sono quelle «indispensabili», 9.280, si sa che il 92 per cento non è finanziabile perché mancano i progetti esecutivi e anche quelli costano, però le norme non ne tengono conto. Si sa anche che con 20 miliardi in 10 anni si potrebbe mettere l'Italia in sicurezza, ma non si riescono ad aprire tutti i cantieri e ci sono interventi in attesa da 50 anni. Si continuano a spendere soldi a pioggia (!) solo «dopo» i disastri.

Il padre della Protezione Civile, Giuseppe Zamberletti, lo diceva già negli anni '80: «Allo Stato costerebbe molto meno prevenire che pagare i danni». Ma pare che questa lungimiranza non sia nel Dna degli italiani. Eppure, sulla carta, tutto è pronto. Il governo ha annunciato da mesi di aver «scelto la strada della prevenzione superando la logica delle emergenze». A maggio è stato presentato a Palazzo Chigi il Piano nazionale contro il dissesto per gli anni 2015-2020, che prevede un investimento di circa 7 miliardi in 6 anni, da sostenere con finanziamenti regionali dello Stato e dell'Ue. Però la mappa dei cantieri ne conta 1.300 e ne servirebbero 10 volte di più. Il Piano nasce dalle richieste dei presidenti delle Regioni, in qualità di commissari di governo contro il dissesto, alla struttura di missione coordinata dal ministero dell'Ambiente con quello delle Infrastrutture. Le segnalazioni arrivano, ma i progetti no. Erasmo D'Angelis, coordinatore della struttura ad hoc, Italia Sicura, ha spiegato che è stato istituito un «fondo rotativo della presidenza del Consiglio per finanziare la progettazione: 100 milioni».

Eppure, dopo la tragedia di Livorno, il ministro dell'Ambiente Galletti ricorda che per la Toscana sono stati stanziati 64 milioni di euro e a fine anno ne arriveranno altri 24, aggiungendo: «I soldi per intervenire ci sono, bisogna fare le opere che servono. Se vedessi che i soldi vengono spesi con celerità, sarei pronto a dare altre risorse, ma il problema è spenderle e spenderle bene».

Il problema è l'immobilismo italiano, in un Paese in cui secondo Legambiente 7 milioni di cittadini sono sotto la spada di Damocle di frane e alluvioni, l'88 per cento dei Comuni è ad alto rischio, il 77 per cento delle case e il 51 per cento degli impianti industriali sono costruiti in zone «rosse», insieme a troppe scuole e troppi ospedali. Mentre proseguono ritardi e rimpallo delle colpe, i dati del Cnr contano 145 morti e 40 mila evacuati, dal 2010 ad oggi.

«Bombe d'acqua» e trombe d'aria, spiegano i geologi, colpiscono un territorio anche quest'anno devastato dagli incendi, dove il disboscamento e il tappeto di cenere che impermeabilizza il suolo facilitano l'ingrossarsi di fiumi d'acqua e fango.

Tra il 2013 e il 2016, 18 Regioni sono state colpite da 102 eventi estremi, con uno stato d'emergenza soprattutto nelle grandi città ripetuto per 56 volte e danni accertati per 7,6 miliardi di euro.

Lo Stato ha stanziando circa il 10 per cento del necessario, 738 milioni di euro, e ne ha erogati poco più di 600. Intanto, i sindaci accusano i governatori, i governatori accusano i ministri e si attende la prossima strage.

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