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Ci sono unioni volute da Dio e altre che arrivano dal diavolo

Il ddl Cirinnà è ambiguo e ipocrita. Le chiama unioni civili, evita con cura la parola matrimonio, ma poi prevede una cerimonia e lega queste unioni alle medesime leggi che regolano il matrimonio. Insomma è un para-matrimonio. Una para-culata

Ci sono unioni volute da Dio e altre che arrivano dal diavolo

E adesso come la mettiamo con questo Papa? Non doveva essere quello del chi-sono-io-per-giudicare? Al punto che il giovane deputato del Pd, Sergio Lattuca, dinanzi alle incertezze dei suoi sulla istituzione del matrimonio omosessuale, si appella al Vaticano, con una specie di ribaltamento di Porta Pia: «Fra poco la battaglia per le nozze gay la fa Papa Francesco!». Francesco con quella frase - che vale anche ora, più che mai - proclamava l'esistenza di un mistero inviolabile che è l'intimo del cuore, che solo Dio conosce, non abdicava al compito di segnalare la verità oggettiva del bene e del male secondo i Vangeli e la Chiesa. La verità esiste ed è conoscibile. Può essere accettata o respinta. Può essere persino messa ai voti. È il gioco della democrazia. Ma non si può attribuire a Francesco e alla Chiesa una specie di relativismo sui valori della famiglia, una neutralità per cui tutto è uguale, e le leggi sono indifferenti rispetto alla felicità della gente. E così venerdì Francesco si è espresso con chiarezza. Nessuna ambiguità, nessun mezzo sì e mezzo no. Ha detto che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Scrisse già alle Carmelitane nel 2010 di Buenos Aires, quando in Argentina si stava approvando una legge simile alla nostra, ma meno ipocrita: «Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una mossa del padre della menzogna...» (2010, lettera ai quattro conventi delle carmelitane). Insomma: ci sono unioni volute da Dio e altre che provengono dal diavolo. Senza confondere, per carità, «lo stato oggettivo di errore» con la dignità di coloro che «per libera scelta o per infelici circostanze della vita» sono in questa situazione di legami sbagliati: costoro «continuano a essere oggetto dell'amore misericordioso di Cristo e perciò della Chiesa stessa» (venerdì scorso). Matrimonio e famiglia sono di un solo tipo. Unioni d'altro tipo non possono chiamarsi o equipararsi a matrimonio, e per ragioni conseguenti presumere adozioni. Questo dice il Papa. Dopo di che lasciamolo in Vaticano. E discutiamone laicamente, senza ridicolizzare e falsare per comodità dialettica le singole posizione. Per cui: rispetto signori, magari persino reciproco. Nei giorni scorsi, con gongolante aria di superiorità morale nonché - ovvio - intellettuale, Michele Ainis aveva innaffiato di prosa strafottente sul Corriere della Sera i cattolici dato che vogliono «sì» siano riconosciuti per legge i giusti diritti alle persone omosessuali ma dicono «no» a un nuovo istituto simil-famigliare e para-matrimoniale. Così aveva gettato in faccia ai vescovi e a chi ne condivide la posizione la frase di Cristo: «Il vostro parlare sia sì sì, no no, tutto il resto viene dal Maligno». Un medesimo rimprovero l'aveva fatto l'ateo militante Paolo Flores d'Arcais al cardinal Ratzinger (settembre del 2000) sentendosi rispondere dal futuro Papa che Flores magari non credeva in Dio, ma almeno al Diavolo sì... La politica è mediazione, è sintesi. Si possono dire dei sì e dei no, senza agitare le frasi di Cristo, a differenza di Ainis, ma accettando la sfida della ragione. E qual è questo giudizio niente affatto confessionale? Bergoglio, in una lettera all'amico che presiedeva la Commissione episcopale per i laici, spiegò: una legge sancisca come istituzione di diritto pubblico le unioni omosessuali rappresenta un «reale e grave regresso antropologico» (2010). Contro i bambini. Scrisse il Papa, nella medesima lettera: «Stiamo attenti a che, cercando di mettere davanti un preteso diritto degli adulti che lo nasconde, non ci capiti di lasciare da parte il diritto prioritario dei bambini gli unici che devono essere privilegiati a fruire di modelli di padre e di madre, ad avere un papà e una mamma». A essere ambigua, e ipocrita, penda nota Ainis, è la legge Cirinnà (dal nome della senatrice del Pd che l'ha proposta): le chiama unioni civili, evita con cura la parola matrimonio, ma poi prevede una cerimonia, e lega queste unioni alle medesime leggi che regolano il matrimonio. Prevede anche le pensioni di reversibilità e di fatto apre alle adozioni. Insomma è un para-matrimonio. Una para-culata, si direbbe, absit iniuria verbis, in linguaggio corrente.

E il 70 per cento degli italiani, vedi sondaggio Il Giornale-Mannheimer, la pensa così.

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