La città (e il Paese) a due facce: è una ferita. Tra accoglienza a tutti i costi e intolleranza

Metà della comunità contro il razzismo, l'altra esasperata dall'illegalità

La città (e il Paese) a due facce: è una ferita. Tra accoglienza a tutti i costi e intolleranza

nostro inviato a Macerata

«Bisogna stare per forza da una parte? Io non mi ci sento, non mi sento di dire se è meglio quello che ha fatto a pezzi la ragazza o quell'altro che va in giro a sparare per il centro, mi fanno schifo tutti, si può dire?». Franco ha più di settant'anni, «tutti vissuti a Macerata», molti quando questa città adagiata sulle colline marchigiane era in vetta alle classifiche della qualità della vita. E ora è a disagio, mentre il posto dove vive - «casa mia», come la chiama - si divide sui cruenti fatti di cronaca che l'hanno portata in cima ai notiziari e sulle prime pagine dei giornali. Non è solo Macerata a essere spaccata in due, dopo la morte terribile di Pamela Mastropietro e la delirante «vendetta» del pistolero Luca Traini, ma tutto il Paese. Diviso tra chi si dice esasperato dagli immigrati dopo l'arresto di Innocent Oseghale e i raccapriccianti dettagli del vilipendio sul cadavere della diciottenne romana e chi, invece, legge la folle mattinata di spari di Luca Traini come fosse una svolta inevitabile, quasi automatica, dei rigurgiti razzisti e fascisti.

A confrontarsi, insomma, sono due retoriche, e sono due pregiudizi. Guarda caso in campagna elettorale. Da un lato quella dell'accoglienza a tutti i costi, che non ammette l'esistenza di un problema legato all'impennata dei flussi migratori e taccia di razzismo qualsiasi mal di pancia e insofferenza dovuta al senso di insicurezza percepito dai cittadini. E che arriva a considerare conniventi e complici di un gesto folle come quello di Traini anche i leader politici come Matteo Salvini, per le posizioni sul tema immigrazione e perché accusato di «soffiare sulla paura». Dall'altro, appunto, c'è la retorica di chi, Salvini in testa, considera come esemplari casi di cronaca che, proprio per la loro gravità, sono comunque un'eccezione e non costituiscono la vera natura del problema. A spaventare nel concreto la gente è sicuramente più il fatto che alcune attività criminali, come lo spaccio, siano controllate da bande di extracomunitari, rispetto al rischio di venire uccisi o fatti a pezzi e infilati in un trolley. Un delitto efferato ma estremo, come estrema è la reazione di Traini, che pensa di vendicare Pamela sparando a caso su chiunque non ha la pelle bianca. Il problema è che in queste terribili storie incrociate, e nelle schermaglie del dibattito politico, scivola via il senso delle cose. A Macerata la gente si lamenta di questioni concrete. Lo spaccio in centro e nei bar. Gli immigrati che scambiano la strada per un bagno pubblico. Un'invasione che va al di là dei numeri, perché toglie l'armonia che regolava i ritmi della vita tra queste belle vie acciottolate. A farla breve, lo stravolgimento di abitudini radicate in una cittadina universitaria ordinata. Ordinata e accogliente. Dove però accanto ai ragazzi che sfilano «contro il razzismo» ci sono quelli che si chiedono perché nessuno sfili per Pamela e si sia indignato per lei. E ci si perde tra gli estremi folli del doppio pregiudizio, che vede tutti gli immigrati come criminali capaci di infilare una ragazza in una valigia e tutti gli italiani perplessi dall'immigrazione come razzisti pronti a fare fuoco. Facendo un grande favore al grande assente di questa storia. Lo Stato. Che non ha salvato Pamela, lasciandola scappare da una comunità che doveva proteggerla.

Che ha lasciato Oseghale al suo lavoro di spacciatore, nonostante i precedenti e un permesso di soggiorno scaduto. Che non ha intercettato il disagio mentale di Traini, anzi gli ha rilasciato il permesso di comprarsi un'arma.

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