Condanna per l'Italia: "Non ha saputo evitare le violenze in famiglia"

La Corte di Strasburgo: autorità inerti nonostante le denunce di madre e figlio

Condanna per l'Italia: "Non ha saputo evitare le violenze in famiglia"

Roma Per la prima volta la Corte europea per i diritti umani condanna l'Italia per un caso di violenza all'interno della famiglia. I giudici di Strasburgo ammoniscono il nostro paese: lo Stato ha il dovere di intervenire per proteggere moglie e figlio dalla brutalità di un padre violento. Un ragazzo di 19 anni si sarebbe potuto salvare se le istituzioni avessero ascoltato le richieste di aiuto che arrivavano da quella famiglia. Ma le istituzioni sono rimaste «passive», hanno «sottovalutato» e di fatto «avallato» quella violenza. Dunque lo Stato dovrà risarcire la donna sopravvissuta con 30.000 euro per i danni subiti e altri 10.000 per la copertura delle spese.

Questa storia di ordinaria violenza domestica inizia nel 2012 a Remanzacco in provincia di Udine quando Elisaveta denuncia per percosse il marito moldavo come lei, Andrei Talpis. La donna però viene convocata dalle autorità soltanto sette mesi dopo. E proprio questo ritardo viene ritenuto inaccettabile dai giudici di Strasburgo perché la donna doveva essere subito protetta. E infatti la donna a quel punto ci ha ripensato: mitiga la denuncia e il caso viene archiviato. Ed è proprio la ritrattazione della donna, fa notare il procuratore di Udine, Antonio De Nicolo, ad aver frenato l'autorità tanto da decidere di archiviare il caso. Tra la prima denuncia e l'omicidio, sostiene il procuratore «non avvenne nulla di grave». Ma Elisaveta invece ha poi raccontato un'altra storia che ha portato al ricorso. Il marito Andrei un muratore di 48 anni era spesso ubriaco e la maltrattava quotidianamente. Mesi e mesi di sopraffazioni ma Andrei se l'era sempre cavata. Al massimo gli comminano una multa. Alla fine l'inevitabile epilogo. Il 25 novembre l'uomo ubriaco minaccia la moglie che chiama la polizia e chiede aiuto. Il marito ubriaco finisce in ospedale. Quando esce vaga per tutta la notte e intercettato da una pattuglia della polizia ma viene soltanto multato. All'alba torna nella casa della moglie la minaccia con un coltello. Il figlio Ion di 19 anni interviene e lui lo accoltella a morte. Elizaveta fugge e lui la insegue per strada e la ferisce. Soltanto a questo punto, dopo l'omicidio del figlio, l'uomo viene arrestato, processato e condannato all'ergastolo. Per i giudici di Strasburgo lo Stato è colpevole. «Non ci sono spiegazioni plausibili per l'inerzia delle autorità per un periodo così lungo, sette mesi, prima di avviare il procedimento penale», scrive la Corte sottolineando che di fatto in questo modo la violenza è stata «avallata» dalle autorità. La Corte contesta all'Italia la violazione del diritto alla vita, della proibizione di trattamenti inumani e degradanti e della proibizione di discriminazione, in base agli articoli 2, 3 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. L'inerzia delle autorità , scrivono i giudici, ha creato «una situazione di impunità che ha portato al ripetersi di atti di violenza, che sono poi risultati nel tentato omicidio della donna e nella morte di suo figlio. Le autorità italiane sono quindi venute meno al loro obbligo di proteggere la vita delle persone in questione».

All'autorità giudiziaria si imputa un «atteggiamento passivo» nonostante fosse evidente che «la donna e i suoi figli» vivessero «in un clima di violenza abbastanza seria tale da essere considerata maltrattamento». La Corte ritiene che la vittima sia stata anche oggetto di discriminazione in quanto donna.

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