Confalonieri: "In quegli anni ci voleva coraggio ma lui non temeva né le piazze né i salotti"

Con Indro visse timori e avventure. "Era un freddo ma aveva un cuore grande"

Confalonieri: "In quegli anni ci voleva coraggio ma lui non temeva né le piazze né i salotti"

Dei Cavalieri che fecero l'Impresa, l'impresa impossibile di creare il Giornale, Biazzi Vergani era Giacomo d'Altogiovanni, lo scudiero che temprava la spada invincibile per il Principe Indro, che lo scortava nel buio degli anni di piombo, nei palazzi assediati dalle chiavi inglesi rosse: «Spesso la sede del Giornale, allora in piazza Cavour, era circondata da centinaia di extraparlamentari che ci odiavano - raccontava - Non c'era da scherzare. Sa quante volte io e Montanelli siamo usciti da porte secondarie, caricati su camion come pacchi postali...» Non aveva paura né della piazza, né dei salotti. O meglio ne aveva ma la paura non era più forte delle idee in cui credeva. Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, consigliere di amministrazione delGiornale, lo ha visto spesso combattere: «È stato uno dei fondatori, uno di quelli che quando si è trattato di uscire dal Corriere, di mettersi contro l'establishment di sinistra che puntava al compromesso storico non ha avuto esitazioni o pentimenti. Il Giornale era unico a sostenere certe idee e certi valori. E in quegli anni voleva dire avere coraggio».

L'ostilità, si rammaricava Biazzi Vergani, era arrivata al punto che era pericoloso per i lettori del Giornale andare in giro con una copia in tasca. Raccontava ancora indignato: «Un episodio che mi irrita ancora dopo tanti anni. Un giorno Montanelli andò al premio Bagutta. Era di casa perché era stato uno dei fondatori. Sulle pareti del famoso ristorante c'era persino un suo ritratto dipinto da Vellani Marchi. Montanelli entrò, il ristorante era pieno di giornalisti, letterati, scrittori. Tutti suoi amici. Nessuno alzò la testa dal piatto, fecero finta di non vederlo. Nessuno lo salutò. Come fosse un appestato».

Per anni lo potevi vedere, nella sede di via Negri, dietro la grande scrivania, dominata dal poster del primo numero del Giornale, quasi un guardiano della porta di vetro che introduceva all'ufficio di Montanelli. Era un filtro, il mediatore massimo, il Richelieu, il consigliere, il collega, l'amico.

«È stato un formidabile uomo macchina - è ancora il ricordo di Confalonieri - un uomo di equilibrio che cercava di portare moderazione ovunque, di addolcire gli spigoli. Anche in un momento difficilissimo, quando venticinque anni fa Indro decise di lasciare il Giornale». Per Biazzi un dolore, ma lui decise di restare. Diceva: «Ho lavorato quarant'anni con Montanelli, ma non ho condiviso per nulla la sua scelta. Indro è un uomo che si è battuto per la libertà in un momento in cui era difficile farlo, lui e il Giornale hanno giocato un ruolo importante nella Storia d'Italia.

Ma resto convinto che il suo addio sia stato un errore». Confalonieri ha un ultimo ricordo: «Era un uomo che sembrava freddo: mi aveva molto colpito l'affetto che provava verso il suo figliolo». Era il cuore di un guerriero.

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