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Conte è "preoccupato" ma resta immobile E manda allo sbaraglio i militari sul campo

Il premier propone una terza via europea, che però significa solo rimandare scelte strategiche cruciali

Conte è "preoccupato" ma resta immobile  E manda allo sbaraglio i militari sul campo

In gergo Nato si chiamano «blue on blue». Nelle esercitazioni sono i colpi sparati contro gli alleati, identificati dal blu, anziché contro il nemico. In Afghanistan ed Irak sono l'incubo di chi addestra le truppe locali. Lì il «blue on blue» non è quasi mai accidentale. Sparano sugli addestratori le reclute afghane infiltrate dai talebani. Lo stesso possono fare in Iraq i coscritti di fede sunnita legati allo Stato Islamico o quelli sciiti decisi a vendicare il generale Qasem Soleimani. E visto che gli sciiti sono il 62 per cento è chiaro perché la Nato prima, e il nostro ministro della Difesa poi, abbiano annunciato la sospensione delle attività addestrative.

Meno chiaro è perché il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dica «preoccupato» per i nostri soldati. Il mestiere di un premier adeguato al proprio ruolo non è esternare le proprie ansie, ma adottare linee politiche in cui le incognite connaturate alla presenza in aree a rischio siano giustificate dall'interesse nazionale. Vale la pena stare in Irak solo se la nostra permanenza è legata alla nostra alleanza con gli Stati Uniti o ad accordi stretti con le diverse anime del governo iracheno. Possiamo starci, insomma, solo se la nostra sicurezza è garantita dall'apparato militare Usa o da trattative informali trattenute dalla nostra intelligence con le diverse componenti irachene, amici di Teheran compresi. Nel primo caso la scelta di stare con gli Usa deve essere ricambiata dall'impegno ad assisterci in aree per noi assai più cruciali come la Libia. Il secondo caso, improbabile riedizione del «lodo Moro» degli anni '70, può esser giustificato solo da rilevanti interessi in Irak e nelle zone ad influenza iraniana. Interessi però difficilmente fruibili in quanto soggetti a sanzioni americane. Rispetto a questa forbice il premier Conte propone una terza via europea. «L'Ue - spiegano fonti di palazzo Chigi - può giocare un ruolo fondamentale e offrire un contributo determinante. Conte si sta prodigando affinché l'Europa possa esercitare tutto il proprio peso diplomatico per evitare sviluppi imprevedibili e vanificare così tutti gli sforzi per stabilizzare l'area».

Ma la terza via di un «Giuseppi», abbandonato dalla Casa Bianca e prigioniero delle convulsioni neutraliste di Cinque Stelle e Pd, ha la stessa consistenza dell'aria fritta. L'Unione Europea, come dimostrano la crisi Ucraina, il conflitto siriano e la guerra civile libica oltre a non avere una visione internazionale non ha neppure capacità di mediazione. La sua totale ininfluenza militare la rende incapace d'imporre delle scelte e ancor più, di farsene garante. Per questo rimandare scelte cruciali da cui dipende la sicurezza dei nostri militari in attesa di inesistenti azioni diplomatiche europee significa molto più banalmente mandargli allo sbaraglio. «Sospendere temporaneamente l'attività di addestramento delle forze irachene» per riprenderla «appena le condizioni lo consentiranno» come spiega il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è un altro compromesso inaccettabile. E non solo per il costo ingiustificato di una presenza tanto ininfluente quanto slegata da una visione strategica, ma anche per i rischi connessi alla mancanza di attività sul terreno. Chiudere un contingente in una base significa privarlo degli strumenti di prevenzione e ricognizione garantiti dalla presenza sul terreno e dal dialogo con gli attori locali. Senza contare che in un Irak dove le milizie colpiscono con missili e droni anche una base chiusa è un bersaglio. Insomma per garantire la sicurezza e l'efficacia della nostra presenza militare non servono lacrime di coccodrillo preventive, ma scelte strategiche veloci e coerenti. Tutto il resto è solo «flatus vocis».

E i primi a subirne le conseguenze sono quei soldati per cui Conte si dice preoccupato, ma ai quali né lui, né il resto del governo giallo-rosso sa indicare il senso della nostra presenza in Irak.

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