D'Alema: distruggiamo Renzi E il premier prepara lo scontro

L'ex leader rompe gli indugi e si mette alla testa della fronda Pd. Il premier ai suoi: ma chissenefrega. Domenica all'Assemblea nazionale la resa dei conti

D'Alema: distruggiamo Renzi E il premier prepara lo scontro

«Dobbiamo distruggerlo». Altro che scissione, la linea dettata da Massimo D'Alema alla confusa minoranza Pd è più ambiziosa, come si confà ad un leader del suo calibro: «distruggere» l'intruso che si è inaspettatamente preso a furor di popolo la gloriosa Ditta post-Pci, liberarsi di Matteo Renzi e rimpossessarsi del Partito.

D'Alema è tornato e ha ripreso la testa, finora vacante, delle inconcludenti truppe anti-renziane del Pd per guidarle alla riscossa contro il premier. E dopo il voto in Commissione, che ha fatto andare in minoranza il governo sulla riforma del Senato, ieri la guerra è ufficialmente scoppiata. È stato il renziano Delrio, a nome del governo, a stigmatizzare il comportamento della fronda: «Se la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica. Noi vogliamo continuare fino al 2018». Un conto, sottolinea, sono gli «incidenti parlamentari, che possono anche capitare». Ma il trappolone ordito in Commissione è un'altra cosa: «Quello che è successo non esiste. C'è un accordo, il governo è impegnato ad andare avanti con il programma, basta segnali di vecchia politica». A quel punto, fedele al suo motto («Capotavola è dove mi siedo io»), D'Alema ha rotto gli indugi e ha dettato la dichiarazione di guerra: «stupefacente» che Delrio «minacci i parlamentari». Il sottosegretario «dovrebbe sapere che le riforme costituzionali sono materia parlamentare e che deputati e senatori hanno il diritto e il dovere di migliorare testi che restano contraddittori e mal congegnati, malgrado il notevole impegno della relatrice». La furia dalemiana si abbatte sul governo, risparmiando però Anna Finocchiaro. Che certo ultimamente ha collaborato un po' troppo con il nemico renziano, ma che può ancora essere recuperata alla Causa.

L'Assemblea Nazionale del Pd rischia di trasformarsi davvero in una resa dei conti: «Di segnali politici parleremo chiaramente domenica, in quella sede», promette Renzi. Il premier è determinato ad andare all'attacco dell'ancien regime Pd che non «accetta di aver perso il potere»; di quello che il renziano Angelo Rughetti bolla come «il partito della palude che si è rimesso in moto, e a cui va bene tutto purché non cambi nulla. Hanno governato per anni, non hanno chiesto scusa e ancora danno lezioni». Quella di Renzi, preannunciano i suoi, sarà una relazione durissima contro la fronda anti-premier che «vuol bloccare le riforme», e che «calpesta tutte le decisioni votate a stragrande maggioranza» in ogni sede: dalla Direzione ai gruppi parlamentari. E poi ci si conterà su un documento «esplicito e impegnativo» sulle riforme. Basta «doppi giochi»: la minoranza Pd, a cominciare dai suoi caporioni (Bersani incluso) dica da che parte sta. Anche perchè, ricorda il renziano Fanucci, «Non si può chiedere la gestione unitaria del partito e poi votare contro il governo». Un avvertimento ai bersanian-dalemiani che siedono in segreteria, come Micaela Campana, lambita dallo scandalo romano che sta colpendo la vecchia guardia Pd, ora commissariata da Renzi e Orfini e quindi assai malmostosa. Tanto più che gira la voce che domenica il tesoriere renziano Bonifazi renda pubblici tutti i dati di bilancio delle passate gestioni Pd, da Bersani ad Epifani, con relative spese e stipendi. E i renziani non vogliono più fare concessioni alla Ditta, nemmeno nelle Regioni: potrebbero persino schierare un loro uomo contro il Enrico Rossi in Toscana, ieri l'assemblea regionale che doveva candidarlo è stata sconvocata.

Con i suoi, il premier ironizza: «Non so quanto ci possa danneggiare un titolo tipo: “Bindi, D'Alema e Camusso vogliono fermare Renzi“». Intanto, anche per non dare «alibi» alla fronda, convince il ministro Lupi a revocare la precettazione dei ferrovieri. «Riforme in aula a gennaio», assicura. Ma il rischio di impantanamento è alto, e i renziani lo sanno.

In Commissione alla Camera la vecchia guardia Pd occupa tutti i posti strategici, al Senato una valanga di emendamenti ostruzionistici (anche della minoranza Pd) si è abbattuta sull'Italicum, i numeri ballano da una parte e dall'altra. E molti renziani sono convinti che sia solo l'antipasto della guerriglia che i franchi tiratori scateneranno nel voto per il Quirinale.

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