Date un sarto al leghista Salvini e forse avrete un vero leader

Date un sarto al leghista Salvini e forse avrete un vero leader

Date un sarto al leghista Salvini e forse avrete un vero leader

Quella della Lega più che una riscossa è una muta, un cambiamento di pelle. L'avvento di Matteo Salvini alla segreteria ha provocato inaspettatamente la trasformazione e, a giudicare dai risultati ottenuti da costui, l'operazione è andata non bene: benissimo. Le camicie verdi un paio d'anni fa sembravano in profonda crisi. Umberto Bossi era stato costretto a cedere lo scettro del comando, dopo gli scandaletti noti e attribuibili a qualche ladro di galline, e fu Roberto Maroni a impossessarsene nella speranza di salvare il salvabile. Poi Bobo si candidò quale governatore della Lombardia, appoggiato da Forza Italia non ancora in disarmo, e, avendo conquistato il trono che fu di Roberto Formigoni, fu costretto a indire nel partito (di risulta) una conta allo scopo di eleggere un nuovo segretario, cui si presentò per onor di firma lo stesso Bossi, pur consapevole che la base desiderava un volto fresco e una rottura con il passato, nonostante che il Senatùr fosse considerato ancora il mitico fondatore, l'uomo del destino (del secolo scorso).

Cosicché Salvini vinse la corsa al seggiolone più alto del Carroccio senza fatica, con una percentuale schiacciante. Eravamo consapevoli che il virgulto leghista fosse attrezzato, ma temevamo che la sua forza si esprimesse soltanto a livello locale, diciamo pure un po' (simpaticamente) paesano. In effetti egli ha un look imbarazzante, camicie e maglioni acquistati al mercatino rionale, forse usati, pantaloni spiegazzati e scarpe censurabili.

Mi auguro che lui non si offenda. Intuisco. Le sue scelte nel campo dell'abbigliamento rispondono pienamente all'esigenza di apparire al popolo uno del popolo. Ma non esageri. Un conto è essere anticonformisti in politica, e lui tale è, un altro è avere un aspetto da cassintegrato, anzi da esodato. Quando poi va in tv vestito come un migrante appena sbarcato a Lampedusa, mi creda, l'effetto che produce non è rassicurante. Lo stesso dicasi del suo linguaggio, invero assai efficace, che avrà sicura presa sui miei amici muratori orobici, ma contrasta con i buoni studi che Matteo può vantare: per esempio un liceo classico portato a compimento brillantemente.

Questi miei rilievi probabilmente lo irriteranno, perché lui è un tipo genuino, ostentatamente genuino, pur non essendo privo di finezze retoriche in grado di spiazzare qualsiasi interlocutore. Ma lasciamo perdere ciò che attiene all'arte di agghindarsi e guardiamo invece alle cose pratiche. Salvini, a parte le critiche frivole, che gli abbiamo mosso, ha una grande dote per un politico: crede in quello che dice e finisce per convincere anche il suo uditorio del fatto che non mente per opportunismo. Le sue idee possono piacere o no, ovvio. Ma nessuno è autorizzato ad accusarlo, su base certa, di essere un ipocrita.

La sterzata che oggi ha dato alla Lega reca i connotati della genialità. Salvini ha accantonato i sogni (o meglio i deliri) padani, intesi come manie di secessione e illusioni autonomiste, per abbracciare alcuni temi che intercettano alla perfezione le aspirazioni della gente, non soltanto settentrionale. In pratica ha compreso che la politica italiana è deficitaria su alcuni fronti e lui ha colmato la lacuna cavalcando argomenti lepenisti, quelli che hanno consentito a madame Marie, in Francia, di spopolare.

Lotta dura all'euro dei banchieri, all'Europa dei peggiori burocrati del globo terracqueo e all'immigrazione selvaggia che discrimina i connazionali, trattati peggio degli ultimi arrivati sulla penisola. Matteo ha coperto l'unica fascia di mercato politico lasciata libera da altri partiti, impegnati in battaglie di potere che prescindono dalle necessità dei nostri compatrioti. E ha accumulato un tale numero di consensi da superare il tetto dell'8 per cento e da permettergli di organizzare a Milano una manifestazione imponente con oltre 100mila persone in piazza, pronte a sostenere il leader che non si vergogna - o meglio, si sforza - di essere un uomo comune.

Egli ha approfittato della diaspora in atto nella destra ex fascista di Gianfranco Fini, ha dato l'impressione a vari ex elettori di Forza Italia di essere all'altezza di interpretarne i malumori, infine ha ricompattato i leghisti della prima e della seconda ora. A questo punto per diventare la fotocopia ideale della leader transalpina gli manca solo di insistere.

Alberto da Giussano in versione salviniana (e salvifica) è destinato a crescere a condizione che il nuovo condottiero scelga: meglio imborghesirsi nel modo di fare piuttosto che in quello di essere. L'elettorato più sofisticato, anche se la pensa come lui, ha bisogno di un lui esteticamente più affidabile.

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