Ma il disastro più grave è la famiglia che non educa

I l vero problema della scuola non è nella scuola. Sta prima della scuola, che da parte sua fa, talvolta bene talvolta molto meno bene, quello che può. Ho sentito diverse persone domandarsi, e domandare, che senso avesse scioperare in difesa di una scuola pubblica che è già allo stremo, dove l'istituzione non è più in grado di fornire - parole di una scioperante - nemmeno la carta igienica nei (...)

(...) gabinetti. Perché difendere a tutti i costi un'istituzione così scombiccherata? Perché rifiutare a priori ogni novità? Ci si lamenta, ha detto qualcuno, ma poi non si vuol cambiare.

Io sono personalmente favorevole alla riforma, con le necessarie riserve s'intende, ma senza tentennamenti. Tuttavia bisogna comprendere il risentimento di un mondo, quello scolastico, che avverte nell'atteggiamento del governo una certa disistima, una scarsa considerazione di ciò che la scuola oggi è, con pregi e difetti. La scuola pubblica infatti sarà anche popolata di molti lavativi ipersindacalizzati, ma questi restano comunque una minoranza rispetto alla quantità di eroi che la mandano avanti contro tutto e tutti. Pensiamo alla quantità di zone disagiate, periferie dominate dalla violenza, dove la scuola è l'ultimo avamposto della civiltà, l'ultimo baluardo contro una barbarie che avanza.

Ho sentito dire che i vandali che hanno spaccato macchine, vetrine e bruciato cassonetti nel centro di Milano il primo maggio sono il prodotto della scuola di oggi. Non attribuiamo alla scuola tutte queste responsabilità. Ci sono le sue mancanze, certo: ci sono ad esempio le teorie psicopedagogiche degli anni Sessanta-Settanta, che hanno plasmato la mentalità di almeno una se non due generazioni di insegnanti, fondate su un principio educativo astratto e aberrante. Ma il disastro non sta nella scuola: sta nella famiglia. E nella spaccatura di un rapporto, quello appunto tra scuola e famiglia, che è stato per decenni l'asse portante non solo del sistema educativo, ma di tutta la società. Se altrove si sono formati i professionisti, i tecnici, gli imprenditori, gli intellettuali, è dentro quel rapporto che si è formato l'uomo, l'animale sociale.

Quando ero ragazzo, se portavo a casa un brutto voto i miei genitori mi punivano prima di chiedersi se lo avessi meritato o no. Di solito lo meritavo, ma un paio di volte no: lo feci presente ai miei, e la loro risposta fu: beh, sicuramente te lo sei meritato per qualche altra ragione. Questo non succedeva solo a me. La famiglia difendeva la scuola a oltranza, così come la scuola confidava moltissimo nella collaborazione della famiglia. Oggi, viceversa, si parla molto di genitori che fanno causa alla scuola per un cattivo voto dei loro figli, e di altri genitori che per lo stesso motivo piombano in scuola per picchiare un insegnante.

Io spero che questo non succeda di frequente, ma so che può succedere, così come può succedere che per un cattivo voto un ragazzo si tolga la vita, tanto fragile è la tenuta umana del singolo di fronte alla disgregazione generale. La famiglia è percepita dalla scuola come un nemico oscuro - oscuro perché la sua consistenza sta ormai solo in una difesa a oltranza dei suoi membri per ragioni di principio. E questo è, da che mondo è mondo, un segno di crisi profonda. In termini militari si chiama fuoco di sbarramento, in uso durante le ritirate.

Chiediamoci: fare causa alla scuola per un cattivo voto è forse un segno d'amore per i propri figli? No, non lo è affatto. Qui sta il problema, con ricadute che le forze decimate della scuola riescono a reggere (dove e quando ci riescono) solo grazie all'eroismo personale di chi ci lavora. Quando, camminando per Milano, mi capita di incontrare una famiglia che passeggia, con padre madre e figli, nel 90% dei casi si tratta di una famiglia straniera. E quando è una famiglia italiana, guardandoli mi vien da dire «che strana famiglia!»: sono diversi, più semplici, più allegri, e perfino i bambini non sembrano come gli altri bambini, anche se in realtà lo sono.

Forse qualche decennio fa tutte le famiglie erano così: più ingenue, dal tenore di vita più modesto, ma anche più fiduciose se non in Dio almeno nella vita, negli altri, nella società. Nessun ritorno al passato, per carità.

Però noi non abbiamo bisogno tanto di ricette politico-economico-sociali. Abbiamo bisogno innanzitutto di uomini interi, adulti. Il nesso scuola-famiglia era l'asse di questa formazione essenziale: o lo ripristiniamo o dobbiamo cercarne al più presto un altro.

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