La disavventura di un italiano a Parigi Prigioniero in aeroporto per un "vaffa..."

Ha sbagliato uscita, gli è scappata una parolaccia. E si è scatenato l'inferno

La disavventura di un italiano a Parigi Prigioniero in aeroporto per un "vaffa..."

Noi italiani siamo un fatti un po' così: pensiamo che tutto il mondo sia (il nostro) paese. Se per esempio un manipolo di olandesi devasta le fontane del Bernini, così per passare il tempo, noi ci preoccupiamo di portarli prima a vedere la partita in santa pace e poi a imbarcarli per casa, grati per averci visitato. Gli altri, cioè loro, in genere non ricambiano mai le nostre stesse cortesie. Se strappi una bandiera in Thailandia ti arrestano e ti costringono a chiedere scusa in ginocchio sui social, cioè la gogna 2.0. Se disturbi la quiete pubblica in Polonia ti processano per direttissima, anche se sei la curva al gran completo di una squadra di calcio in trasferta.

C'è però un limite a tutto e il limite in questo caso non è lontano da noi, abita nella civile Francia della libertè e dell'egalitè se non proprio della fraternitè. Quello che è successo a Gianfranco Bidoia e alla moglie sta all'incrocio tra il film «The terminal» e il processo di Kafka, tra la tragedia e la farsa. Tutto comincia e finisce il 29 ottobre scorso quando l'uomo rientra da un viaggio di lavoro in Cina e atterra al Charles de Gaulle di Parigi dove deve prendere la coincidenza per Venezia. Trova però il gate chiuso, così lo spediscono in un'altra ala dell'aeroporto, lo infilano in un corridoio senza indicazioni e, per ritrovare la strada giusta, gli dicono di uscire da quella porta là ma quella porta là è quella sbagliata, porta dritta all'inferno anche se lui ancora non lo sa. Ci sono due poliziotti lì e lo prendono a male parole, lo spingono fuori, gli urlano di tutto, non deve entrare qui, gli gridano, come fai dire che a spedirti lì sono stati proprio quelli dell'aeroporto, se nemmeno ti ascoltano? Capita di sbagliare e la Francia ha i nervi a fior di pelle. In meno di due anni il terrorismo ha fatto più di duecento morti, non c'è posto dove sentirti al sicuro, non c'è angolo da dove non possa spuntare un kalashnikov o un machete. A Phuket, per dire, un pensionato grossetano Giorgio Pasquinucci, solo per aver detto al controllo bagagli una battuta («Non c'ho mica le bombe lì dentro...») si è ritrovato in galera per due giorni. Ma qui non siamo in Thailandia. O forse si.

Bidoia esce: che si fa adesso? gli chiede la moglie, tocca rifare tutta la procedura di entrata, con controllo bagagli e boarding pass. Gli scappa: «Vaffa... speriamo di farcela». Vaffa. Come il merde francese. Ti scappa, soprattutto se sei stanco, se tutto ti va storto, se ti girano un po'. Non ce l'hai con nessuno se non con il destino cinico e baro. Solo la poliziotta, la stessa che lo ha cacciato e che all'improvviso lo prende alle spalle, pensa che ce l'abbia con lei. «Tu a me non dici vaffa...» e valle a spiegare l'appena spiegato.

Lì si scatena, per stanchezza, esasperazione, arroganza qualcosa che non ha più senso. Bidoia viene trascinato al comando di polizia di frontiera, la moglie no. Lei resta fuori, in uno dei terminal più affollati del mondo, senza sapere una parola di inglese e francese, senza sapere che ne è del marito. Lui cerca di spiegare, chiedo scusa, dice, se avete pensato che il vaffa fosse diretto a voi, si sente mancare ma gli negano un medico, chiede di parlare con l'ambasciata ma gli ridono in faccia, lo trascinano in manette per mezzo aeroporto, dentro un'altra cella. Per vedere un attimo la moglie gli fanno firmare dei documenti «sennò ti puoi scordare di vederla».

Prima che la tragiocommedia finisca con il lieto fine passano dodici ore, costate soldi, paura e pressione ai limiti del collasso. La prossima volta che viene in Francia, lo avvisano, non commetta lo stesso reato altrimenti verrà processato anche per questo. «Di certo io in Francia non vado più» spiega Bidoia. Possono tutti andare affan...

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