Quando fu eletto Barack Obama per la seconda volta, prevedemmo in molti che al round successivo gli americani avrebbero scelto un presidente così di destra da far rimpiangere, se non Attila, almeno W. Bush l'invasore dell'Irak. Il momento è arrivato. La Clinton è in declino, anche se mantiene la posizione in alcuni Stati, ma il fatto nuovo è che non soltanto «The Donald» guadagna punti, ma che il suo partito ha ritrovato lo spirito della rimonta, con marcia trionfale al Congresso e al Senato. Una rivoluzione. Ce ne fu una simile mezzo secolo fa con la vittoria del cattolico di famiglia irlandese John Fitzgerald Kennedy: una con la vittoria di Ronald Reagan di cui tutti dicevano (come fanno oggi con Trump) che era un brutto razzista, pessimo attore di western di serie B; fu poi la volta dei due Bush, padre e figlio, denigrati e malvisti a cavallo della coppia Clinton.
Un groviglio di attese deluse e sorprese inaspettate. Adesso siamo nella fase delle sorprese inaspettate: il villain Trump, lo sfrontato, è finalmente maturo per il trono più alto del mondo. Trump incarna, magari senza saperlo, l'America degli americani, seguendo il principio della dottrina del Monroe. Se vincerà Trump avremo un'America ricompattata e gelosamente chiusa.
Se dovesse vincere la Clinton, quasi certamente avremmo uno scontro continuo e rovente con la Russia, che segue una linea di condotta simmetrica a quella del Monroe: l'Europa, Russia compresa, agli europei e tutti i popoli di lingua inglese fuori dall'Europa. Incrociamo le dita.
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