Euroburocrati e terroristi: la doppia vita di Bruxelles

Nella capitale belga, a sei chilometri di distanza, convivono i seguaci dell'Isis e chi dovrebbe combatterli

La sede di Bruxelles dell'Europarlamento
La sede di Bruxelles dell'Europarlamento

Bastano sei chilometri per perdere le tracce del sogno di De Gasperi e Adenauer. Sono quelli che separano il quartier generale delle istituzioni comunitarie dal ghetto di Molenbeek, Bruxelles. Capitale dell'Europa (dis)unita e avamposto dell'Isis. Perché dopo il massacro di venerdì, in ogni telegiornale «il nostro inviato a Bruxelles» stavolta non racconta le strette di mano tra i capi di governo e i sorrisi nelle foto di gruppo, ma parla di guerra. Quella che scopriamo di dover combattere fin sotto case e uffici. Ad un'ora di cammino gli uni dagli altri convivono menti e braccia dell'attacco al cuore dell'Occidente con coloro che dovrebbero garantire la nostra sicurezza. La bandiera nera del Califfato sventola di fianco a quella con le dodici stelle. Gli euroburocrati ora si ritrovano a fissare l'ombelico del terrore, l'enclave integralista in mezzo alle vetrine con le file ordinate di cioccolatini. Lo schema interpretativo delle banlieue vale fino a un certo punto, quando si entra a Molenbeek-Saint-Jean. Novantaseimila abitanti in sei chilometri quadrati, metà della popolazione di fede musulmana, età media di 34 anni, due ragazzi su cinque non lavorano. E 24 moschee, di queste solo quattro riconosciute dalle autorità belghe, in cui gli imam non parlano né francese né fiammingo, ma predicano il salafismo e l'interpretazione «autentica» del Corano. Chi non frequenta i centri culturali islamici viene arruolato su internet e sui social network, come faceva l'organizzazione terroristica di «Sharia4Belgium» finita alla sbarra solo pochi mesi fa. Immigrazione incontrollata, povertà diffusa e sonno della politica.

Leggasi vent'anni di amministrazioni socialiste che, per gli osservatori locali, hanno lasciato proliferare l'integralismo in cambio di consensi alle urne. Un brodo letale in cui l'Isis pesca a piene mani. Raqqa chiama Molenbeek, nuovo campo di reclutamento di martiri al servizio del jihad: almeno una decina sarebbero partiti proprio da qui per dar manforte al Califfo. Tasselli di un mosaico più complesso. Secondo l'International Centre for the Study of Radicalisation (Icsr) tutto il Belgio è il pozzo oscuro del vecchio continente. Dai 400 ai 500 foreign fighters su 11,2 milioni di residenti, per un tasso di «jihadismo» che non ha paragoni con nessun altro Stato membro della Ue, addirittura doppio rispetto alla Francia e cinque volte quello del Regno Unito. «Cellule impazzite», dicono gli investigatori. Eppure lo è altrettanto un'Europa imbrigliata nel gioco dei pesi e contrappesi tra le nazioni, impegnata a rimpallarsi addosso quote di migranti, distratta a limare le virgole dei trattati. Salvo poi restare immobile di fronte alle emergenze. Intanto, il nemico nascosto a non molti isolati dall'Espace Léopold passa dal delirio ideologico al fuoco delle armi nel giro di giorni. Forse di ore. Eccola, la vera Europa a due velocità, qui non c'entrano i report economici dei costosi organismi finanziati dai contribuenti europei. In meno di un anno e mezzo «l'esecutivo ombra», quello del terrore, di stanza tra Bruxelles e Verviers ha messo a segno la strage al museo ebraico della capitale belga, le stragi parigine del gennaio scorso, l'assalto a colpi di kalashnikov sul treno Amsterdam-Parigi, fino all'ultima mattanza nel Bataclan, le sparatorie nei ristoranti e le bombe allo Stade de France.

Al Parlamento Ue invece son serviti sei mesi di discussioni, dopo il sangue versato a Charlie Hebdo e al supermercato kosher, per sbloccare l'iter sul «Passenger name record», il database integrato sui passeggeri dei voli ritenuto decisivo nella lotta al terrorismo. Consiglio e Commissione assicurano: il dossier va chiuso entro l'anno. Sempre che prima non ci sia da legiferare sul diametro delle vongole.

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