Quel filo rosso che porta alla Sicilia, "culla" strategica per l'islam più cattivo

Lì Amri si radicalizzò in carcere. Sull'Etna scoperto pure un campo jihadista

Quel filo rosso che porta alla Sicilia, "culla" strategica per l'islam più cattivo

Valentina Raffa

Ragusa Porta di ingresso di migliaia di immigrati, quale ruolo ha giocato la Sicilia nel processo di accostamento all'islam estremista di Anis Amri, il terrorista dei mercatini di Berlino ucciso a Milano in un conflitto a fuoco con la polizia? Secondo i familiari del tunisino, Anis si sarebbe radicalizzato in Italia, e dove se non in uno dei carceri siciliani in cui ha peregrinato dal momento della condanna a 4 anni per avere picchiato il custode della struttura di accoglienza in cui era ospite a Belpasso (Catania) e avere dato fuoco al centro protestando per le lungaggini delle pratiche per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la «scarsa» qualità di vitto e alloggio?

Schivo, solitario e preoccupato per la sua incolumità, tanto che ne fu disposto il trasferimento dal carcere di Enna a quello di Sciacca, Anis subisce presto una trasformazione. Potrebbe essersi accostato dietro le sbarre a un islam radicale, che gli avrebbe infuso fiducia in se stesso tanto da vederlo protagonista, d'ora in avanti, di scontri con altri detenuti connazionali. A Palermo, dove è rinchiuso sia al Pagliarelli che all'Ucciardone, viene definito «violento». Il suo curriculum di sanzioni disciplinari è di tutto rispetto.

Chi ha incontrato Anis? Non sono molti i maghrebini con cui è entrato in contatto dal momento del suo cambiamento non solo caratteriale ma anche estetico, con basette e pizzo tipici della cultura islamica. Al Pagliarelli, ad esempio, era stato ristretto in una sezione in cui poteva venire in contatto con meno di una decina di islamici. È su questi che si concentrerà verosimilmente l'attenzione degli inquirenti per ricostruire movimenti e amicizie.

La Sicilia, che appare da sempre come terra tranquilla, in cui non si sono verificati episodi di rilievo riconducibili all'estremismo islamico, potrebbe rappresentare un luogo importante per i fedeli del Califfato. E non solo perché consente l'ingresso in Italia, da cui si accede ai paesi a maggiore rischio attentati - motivo per cui sarebbe azzardato compromettere la possibilità di mettervi piede da parte di possibili jihadisti -. Il sospetto è che qualcosa all'interno dell'isola vi covi eccome. Ma che tutto resti nel sommerso. Andando indietro all'aprile del 2013, ecco l'individuazione da parte dei carabinieri del Ros di Bari di una cellula terroristica che si era stabilizzata in Sicilia con l'intenzione di mettere a segno attentati in tutto il mondo. La cellula terroristica di matrice islamica di sei persone aveva realizzato un centro di addestramento all'ombra dell'Etna, vicino Scordia. Ed è alle pendici del vulcano che si testavano armi ed esplosivi in esercitazioni militari.

A capo dell'organizzazione c'era l'ex imam di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassen, arrestato a Bruxelles, che finanziava il gruppo con i proventi di un call center. Compito del gruppo era quello di preparare azioni terroristiche. La cellula cercava proseliti indottrinandoli in un odio antisemita e contro gli «infedeli».

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