Fini tradisce su Montecarlo "Ecco perché ho mentito"

L'ex presidente della Camera nel suo ultimo interrogatorio «Temevo ripercussioni familiari laceranti per le mie figlie»

Fini tradisce su Montecarlo "Ecco perché ho mentito"

La verità. Un concetto che, per Gianfranco Fini, pare a geometria variabile. Plasmabile a seconda del momento, delle circostanze e, per sua stessa ammissione, dell'opportunità. Ed ecco dunque che sulla linea del traguardo delle indagini sulla casa di Montecarlo e la liaison d'affari Fini-Tulliani-Corallo, all'ultima chiamata prima della probabile richiesta di rinvio a giudizio suo e dei Tullianos da parte della procura, cade l'ultima bugia in ordine di tempo dell'ex presidente della Camera.

Lui negli anni ha voltato le spalle a dio, patria e famiglia, su questa storia. Ignorando la volontà della contessa Colleoni, militante missina ed entusiasta supporter di Gianfry, che aveva lasciato le sue proprietà in eredità ad An «per la buona battaglia». Mentendo al Paese con la promessa - non mantenuta - di dimettersi se si fosse dimostrato che la casa a Montecarlo era del cognato. E scaricando, infine, prima lo stesso cognato - indicato come regista-millantatore dell'affaire immobiliare e degli intrecci finanziari con il re delle slot Francesco Corallo - e ora pure la moglie Elisabetta, difesa solo, sostiene ora, nell'interesse delle due figlie.

Ma almeno torna a galla una verità finora sempre negata, tra minacce di querela e pubbliche smentite. Fini è stato in quella casa. Il Giornale l'aveva sostenuto anni fa, e di nuovo più recentemente, dando conto di una email spedita dal costruttore monegasco Luciano Garzelli all'avvocato dei fratelli Tulliani, Izzo, nel quale Garzelli raccomandava al legale di placare Giancarlo, ricordandogli di aver registrato una telefonata nella quale il giovane Tulliani raccontava di un problema al parquet che disturbava i sonni di un «noto personaggio» che soggiornava in quella casa con «la sorella». Facile capire chi fosse. E due settimane fa, nell'ultimo interrogatorio, rivelato ieri dal Tempo, Fini lo ammette. «È vero che sono andato nella casa, una volta perfezionata la vendita, perché Elisabetta mi chiese di accompagnarla, asserendo che aveva preso l'impegno di aiutare il fratello ad arredarla». Di averci dormito, però, lo nega. Chissà se era davvero colpa del parquet.

Per una menzogna caduta l'altro pilastro che cede è il solidissimo rapporto tra Fini ed Elisabetta, finora difesa a spada tratta dall'ex terza carica dello Stato. Che, invece, ora ammette che anche lei era d'accordo con il fratello nell'apparecchiare l'affare immobiliare per impossessarsi della metà dell'appartamento. Il tutto, ovviamente, all'insaputa di Gianfry, che mentre compagna e cognato gli frugavano nel patrimonio del partito chiedendo di organizzare una vendita di immobili ad personas non sospettava nulla di nulla, né per la presenza di una offshore come acquirente né per le insistenze di Giancarlo e della stessa Elisabetta.

In fondo, anche l'aver mentito a proposito del ruolo di lady Fini nel primo interrogatorio rientra nel concetto elastico di verità dell'ex leader di An. «Non l'ho riferito - spiega - per timore delle ripercussioni laceranti che tali affermazioni avrebbero potuto causare nel mio ambito familiare, soprattutto alle mie figlie».

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