Fisco contro la famiglia: 58mila euro di multa per un errore di forma

Sanzionata come plusvalenza non dichiarata una compravendita immobiliare tra fratelli

Fisco contro la famiglia: 58mila euro di multa per un errore di forma

Roma - Una multa da 58mila euro per una semplice «operazione familiare». Ha un bel dire di «fisco amico», di «fisco consulente e non controllore» il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini: la realtà è ben diversa e - il caso lo riporta l'Adnkronos - narra di una sanzione, da 58mila euro appunto, per una contribuente «accusata» di aver nascosto una plusvalenza sulla compravendita di un immobile. In realtà, si trattava di una transazione immobiliare tra fratelli, che «compensava» quei passaggi di denaro tra genitori e figli che avvengono in tutte le famiglie italiane. Il problema è che la casa in questione è stata poi rivenduta al valore di mercato dopo quattro anni e mezzo circa dall'acquisto.

Il controllo fiscale è scattato a causa dell'ingenuità della contribuente, mal consigliata dal notaio che non ha atteso lo scoccare dei cinque anni tra l'acquisto e la vendita. Quel termine avrebbe fatto scadere l'obbligo di dichiarare la plusvalenza. Sarebbe bastato attendere sei mesi per evitare problemi. Non si tratta, infatti, di un caso di elusione fiscale né, tanto meno, di evasione: la contribuente non ha ottenuto nessun vantaggio.

La compravendita dell'immobile, stando ai due atti rispettivamente del luglio 2008 e del dicembre 2012, produce una plusvalenza di 150mila euro, derivante dalla differenza fra il prezzo di vendita (270mila euro) e quello di acquisto dal fratello della contribuente (120mila euro). Come avviene spesso all'interno delle famiglie, la somma più bassa è stata poi ampiamente compensata successivamente, arrivando a un prezzo effettivo di acquisto di 280mila euro. Per questo, su suggerimento degli stessi uffici dell'Agenzia, è stato presentato un atto di rettifica e quietanza che attesta il conguaglio del prezzo con due bonifici successivi alla vendita, rispettivamente di 90mila e 70mila euro. Ma non è servito a nulla. Le Entrate hanno obiettato che «il riferimento preciso alla compravendita nella causale dei bonifici fosse elemento indispensabile per dimostrare il maggior valore dell'acquisto». Riferimento che nei bonifici, evidentemente, non c'è. Così è scattata la sanzione di 57.807 euro.

Ora la contribuente si trova di fronte a un bivio. Pagare subito la sanzione ridotta a un terzo (circa 20mila euro) e rinunciare al ricorso. In alternativa si può presentare ricorso in commissione tributaria versando 25mila euro, nella speranza che il giudice ne riconosca la fondatezza. C'è anche una terza opzione: lasciar decorrere i termini. In quel caso la contribuente dovrà versare all'erario la somma di imposte, sanzioni e interessi che raggiungono la cifra monstre di 133mila euro. La decisione deve essere rapida.

Notificato l'accertamento il 23 ottobre, scattano dal 31 ottobre, e per ogni giorno, ulteriori interessi al tasso del 4 per cento. Così, già la sola decisione sulla strada da intraprendere comporta nuove spese. È evidente che per il fisco le famiglie non sono amiche. Anzi, tutt'altro.

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