Il governo fa il copia-incolla sul decreto salva Carige

Il testo è identico a quello scritto da Gentiloni nel 2016. L'Ue accende un faro: no a soluzioni fuori dalle regole

Il governo fa il copia-incolla sul decreto salva Carige

Un copia e incolla obbligato. Identiche le leggi nazionali, sono le stesse anche le regole europee che vincolano il governo Conte oggi e quello Gentiloni tre anni fa. Il decreto salva Carige è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale e subito sono emerse le similitudini con il decreto salvabanche del 2016.

Identici articoli stessi commi. Il tutto per una precisa scelta del governo che sarebbe solo tecnica, come ha ricordato il ministro dell'Economia Giovanni Tria. «Il supporto alla liquidità è uno strumento già utilizzato in Italia in molteplici occasioni», ha spiegato il ministro al question time della Camera dei deputati. Vero che il decreto è «analogo al decreto legge del 2016», ma «è così poiché non è cambiata la cornice normativa europea in cui il supporto alla liquidità si iscrive».

Il testo fotocopia dei provvedimenti è servito alle opposizioni per dimostrare come sulle banche il governo gialloverde, la maggioranza M5S e Lega stiano facendo le stese scelte dei precedenti esecutivi. «La verità è che, sulla questione banche, questo governo si sta comportando esattamente come il Governo Renzi, prima, e il governo Gentiloni, poi. Stessa incapacità di anticipare i fatti, stesso tempo perduto nella speranza che la situazione migliori, stessa propaganda per non perdere voti, stesse perdite inflitte ai clienti», ha commentato Renato Brunetta. Per l'esponente di Forza Italia, l'unico governo a intervenire in tempo utile fu l'ultimo guidato da Silvio Berlusconi, che agì «in tempo per offrire delle garanzie agli istituti di credito senza far perdere neanche un soldo ai risparmiatori italiani».

In sintesi, il decreto prevede garanzie statali su eventuali nuove obbligazioni della banca fino a un massimo di 3 miliardi di euro. Risorse che non sono ancora spese, come ha precisato il governo. Il fondo istituito dal governo Gentiloni ammontava a 20 miliardi e non era destinato a una sola banca, come il provvedimento varato lunedì.

Confermata la misura preventiva, il fondo con dotazione di 1,3 miliardi per il 2019 per il rafforzamento patrimoniale della banca, cioè per l'acquisto di azioni della Cassa di risparmio di Genova da parte dello Stato.

Nel decreto non c'è l'ipotesi nazionalizzazione, che il ministro Tria ha cercato di ridimensionare, spiegando che il salvataggio non si applica a Carige, così come non è stato applicato a Mps. «Al momento non è possibile sapere se si materializzerà l'esigenza di un intervento perché la situazione di mercato è preferibile».

Una eventuale nazionalizzazione sarebbe «un'operazione temporanea», la partecipazione dello Stato sarebbe in ogni caso venduta al termine della ristrutturazione.

Comunque, ha aggiunto Tria usando un'espressione che a molti ha ricordato il whatever It Takes di Mario Draghi, «il governo è pronto a realizzare quanto necessario con le modalità più opportune per la salvaguardia dei risparmiatori e del tessuto economico di riferimento in coerenza con il quadro normativo dell'Unione europea».

Ora si apre una partita complessa con l'Europa. Ieri un portavoce della Commissione Ue si è limitato a dire che «siamo in contatto con le autorità italiane e siamo pronti a discutere con loro sugli strumenti a disposizione e sulle loro condizioni di utilizzo nel quadro del diritto comunitario». Tradotto, nessuna soluzione fuori dalle regole Ue.

Il governo Gentiloni fece passare il salvataggio delle banche venete e di Mps. Per l'esecutivo gialloverde potrebbe essere più difficile.

Le risorse utilizzate non peseranno sul deficit, ma faranno lievitare il debito pubblico e costringeranno il governo a rimettere mano ai dati di finanza pubblica del 2019. Per un salvataggio che era nell'aria da tempo, potrebbe osservare qualche rigorista di Bruxelles.

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