Ground Zero, pulviscolo di cemento e ossa

La New York di allora tra bandiere a mezz'asta e arabi terrorizzati

Ground Zero, pulviscolo di cemento e ossa

Mi telefonò Lou da New York: «Stai guardando la televisione?». Accesi. Era in fiamme soltanto la prima delle due torri. Quando la seconda nuvola di fumo e fiamme colpì al cuore la seconda fu chiaro che non era un incidente ma l'inizio di una guerra. Ormai un secolo fa, non soltanto 15 anni. Corsi a Manhattan col primo volo. I taxi, guidati quasi tutti da musulmani pakistani o arabi silenziosi e impauriti, erano tappezzati di bandiere americane. Case, negozi, scuole erano una fioritura di bandiere a mezz'asta e quella commozione profonda, sul filo del pianto eroicamente contenuto che noi europei deridiamo. Mi raggiungono le notizie con voce atona degli amici del padre della mia ex moglie, Lou, scomparsi con l'aereo che si era schiantato sul Pentagono. Ancora nessuno osava dire che era una messinscena hollywoodiana, come lo sbarco sulla Luna.

George W. Bush, il neopresidente, era sotto shock. La politica che aveva annunciato entrando alla Casa Bianca era un po' isolazionista (l'America si fa i fatti suoi) e con intenzioni pacifiche, quasi edonistiche. Era chiaro a tutti che l'attacco dell'11 settembre 2001 era una dichiarazione di guerra, ma non si poteva dire per certo da chi fosse venuta. Al-Qaida era ancora la forza di Osama Bin Laden già divo del terrorismo, malgrado le buoni relazioni che la sua famiglia saudita aveva con gli americani. Ma i giornali, tutti i giornali, tambureggiavano la parola «War», guerra. Prima di decidere a chi muoverla Bush proclamò intanto lo stato formale di guerra. Le agenzie di sicurezza ebbero subito potere di arrestare e trattenere qualsiasi sospetto e interrogarlo con la brutalità necessaria. Pochi obiettarono. Tutti, democratici e repubblicani, volevano la linea dura. Gli Stati Uniti non sono un Paese che porge l'altra guancia. La sconfitta del Vietnam ancora bruciava, a destra e a sinistra. E ora questo attacco puramente simbolico, sanguinario ma simbolico, avrebbe fatto virare il corso del nuovo secolo. Quando leggiamo oggi le testimonianze degli americani musulmani di origine africana o araba, si sente l'angoscia di allora, si sentirono additati e disprezzati come complici degli assassini. Perché il Paese non prendesse una deriva razzistica anti islamica, Bush si precipitò nelle mille moschee di New York. Rassicurò, chiamò i musulmani «my fellow Americans». La reazione nel complesso fu contenuta, ma la tentazione della cacciata globale, se non del linciaggio ci fu.

A Ground Zero tornai molte volte fino al 2010, finché restò nell'aria un pulviscolo sabbioso che scricchiolava sotto i denti. Quel pulviscolo conteneva tutto: cemento, acciaio, ossa, detriti degli aerei, occhi dei morti, le teste dei valorosissimi pompieri di New York, per la maggior parte di cognome italiano: quei giganti buoni che tornarono due e anche tre volte negli edifici in cui morirono. Rudolph Giuliani era il re di Manhattan, ma anche la sua Madre Teresa: una faccia scolpita nel gesso e nel fumo, esausto e carico di energia allo stesso tempo.

Le foto sui muri. Bambini: Mamma dove sei? Dimmi che sei viva, ti aspettiamo. Adulti: bambini miei (foto sorridenti) papà ed io vi stiamo cercando, telefonateci. Tutti sapevano che quei genitori e quei bambini non sarebbero mai tornati. Scricchiolavano in frammenti atomici fra i denti, capelli e acciaio, nasi scarpe e vetri di finestre. Un'unica pasta unificata a 3mila gradi di calore e poi polverizzata e rimasta lì, nell'aria, per anni. Oggi cominciano a morire di cancro i soccorritori che hanno respirato a lungo quel veleno. I morti continuano, in una catena non meno crudele di quella di Hiroshima, ovunque le vite umane siano annichilite da una strage di massa nel terrore e nel fuoco

Oggi a Ground Zero c'è un museo meraviglioso. Ancora non l'ho visto ma tutti ne parlano con commozione perché è concepito come un percorso, alla maniera dei memorial come quello del Vietnam a Washington (anche quello pieno di cognomi italiani). La nuvola dell'apocalisse si è diradata, poi si è posata vetrosa e impercettibile sugli oggetti e sui raggi solari che l'hanno portata via.

Da allora molte, troppe conseguenze.

Le abbiamo sotto gli occhi e ci siamo quasi dimenticati delle Torri Gemelle, la Sarajevo di questa nuova guerra senza fine e senza vero senso, ammesso che le guerre ne abbiano mai uno.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica