Le guerre di Marco tra bavagli e digiuni

Divorzio, aborto, soldi ai partiti, carceri: quarant'anni di show politici. Il sodalizio con la Bonino

Le guerre di Marco tra bavagli e digiuni

Roma - Noi che siamo cresciuti a pane e Pannella. Che il suo nome lo abbiamo intercettato nei discorsi in un'alba d'adolescenza, e con imbarazzato timore guardavamo a quel politico come al guastafeste che voleva «far divorziare mamma e papà».

Correva l'anno 1974 e, non fosse stato per la crociata di Fanfani, forse quella legge di civiltà sarebbe passata (quasi) senza colpo ferire. Con la vittoria dei «No», con il salto del tappo dallo spumante (mirabile vignetta di Forattini), ecco invece uscir fuori spumeggiante la chioma di Giacinto, detto Marco. Una persecuzione, di lì a poco. A scuola, imperversavano i suoi epigoni e presto ne fummo contagiati. Era il 1975/76, i primi programmi Rai post-riforma, cosiddetti «dell'accesso». Marco ed Emma Bonino compaiono imbavagliati con cartello. «Questi 25 minuti vi devono essere sembrati interminabili», riprendeva lui per fruire degli ultimi cinque, nei quali denunciava la disparità evidente di spazi informativi. Battaglie di libertà. Come tutte quelle della sua vita, dedicata al liberalismo crociano (impareggiabile una lunga intervista con don Benedetto in foto sulla scrivania).

Integerrimo volterriano, nel '77-78 è già passato a far capire che il problema vero non sta nell'aborto libero, quanto nel controllo dell'aborto, che salva la vita alle donne preda delle mammane. Come nel divorzio, anche questa una vittoria a suon di voti referendari. La «democrazia diretta» è il suo credo, da coniugare con l'uninominale secca all'inglese, per un partito tipo Whig. Che starebbe oggi per democratico, se non ne esistesse in Italia una copia spuria e deprimente che mai ha pensato di nominare Pannella suo precursore e presidente onorario (tanto per dire dell'ipocrita cordoglio di un attuale premier). Le battaglie di Marco hanno segnato la nostra vita, con referendum a volte incomprensibili, eppure giusti per «difetto di politica»: ovvero che la politica era lenta a capire.

Così Marco intuisce trent'anni prima la volgarità perniciosa del finanziamento pubblico ai partiti (dov'erano allora i Pm di Tangentopoli?) e regala diecimila lire timbrate in piazza ai cittadini. E poi reagisce alla censura occhiuta sui film di Pasolini e non, si fa paladino di Ultimo tango a Parigi. Immagina nuove frontiere per la follia e sostiene la legge dello psichiatra Basaglia; combatte nel frattempo il fascismo reale e il comunismo realizzato, ma «sdoganando» nel frattempo il Msi e i «compagni» del Pci. Però abbattendo a colpi di referendum anche la legge Reale e tutta la legislazione antiterrorismo ('78). Quella della giustizia giusta è la sua battaglia campale: dal caso Negri alla polemica sull'antimafia di Sciascia; dal caso Tortora al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Le carceri diventano la cornice mai dimenticata di ogni azione di lotta, «radio-carcere» e «Nessuno tocchi Caino» gli avamposti concreti di civiltà. Non senza focalizzare «macchine della morte», come quel reclutamento di manovalanza per mafia, camorra e illegalità che deriva dal proibizionismo sulla cannabis, lotta che costa a Pannella denunce, processi, carcere.

Ma Marco, come un Gandhi vero perché quotidiano come i suoi insistiti, troppo, scioperi della fame e della sete, si batte per l'eutanasia, la libertà di ricerca scientifica e la fame nel mondo. La libertà economica e il liberismo, contro ogni fondamentalismo. Leone insaziabile di libertà. Cuore della nostra, gracile, democrazia.

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